8.0
- Band: IN FLAMES
- Durata: 00:47:20
- Disponibile dal: 10/02/2023
- Etichetta:
- Nuclear Blast
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La corsa di Jester, tappa quattordici. Sarà stata la pandemica mondiale, l’ingresso di Chris Broderick in formazione o la concorrenza dei The Halo Effect: sarà stato quello che volete, ma il nuovo album degli In Flames (o In Friden che dir si voglia) spinge come meglio non avremmo potuto sperare, confermando l’ottimo stato di forma per una band ormai prossima al trentesimo anniversario in studio.
Come nel precedente “I, The Mask” si avverte la volontà di attingere dal proprio passato – a partire dalla cinematografica intro “The Beginning of All Things”, che riecheggia il folk di metà anni Novanta anche se il periodo di riferimento è più quello dei primi Duemila – senza però che questo diventi un mero fan service, quanto piuttosto un’amalgama delle ultime tre decadi mescolando il tutto in qualcosa di familiare ma al tempo stesso fresco. Senza ombra di dubbio la notizia più attesa è il ritorno alle sonorità d’inizio secolo – quel micidiale mix di tupa-tupa ed effetti elettronici ad impreziosire il melo-death che fu, denigrato all’epoca da molti e poi rimpianto da (quasi) tutti – per cui la scorpacciata di singoli usciti (“A State Of Slow Decay”, “Meet Your Maker”, “Foregone Pt.1” e “The Great Deceiver”) avrà soddisfatto l’appetito di chi si era fermato a “Soundtrack To Your Escape” o “Come Clarity”, con un’ulteriore levigatura dei ritornelli e delle parti soliste grazie all’esperienza accumulata nelle ultime due decadi.
Tra le righe si vede anche l’ombra di un passato ancora più remoto (“Foregone Pt.2” riprende qualcosa dall’indimenticabile “The Jester Race”, sotto forma di sentito omaggio più che di ripescaggio fuori tempo massimo), ma l’effetto nostalgia si specchia in un presente mai rinnegato: dal pulito della ballad “Pure Light Of Mind” (figlia della malinconia di “Siren Charms”) al midtempo “Bleeding Out” (non memorabile, ma comunque meno pacchiano di “This Is Our House”) c’è un segno di continuità col passato più recente, arrivando alle partiture più oscure di “In The Dark” il cui lavoro ritmico può ricordare gli ultimi Amon Amarth. Sorprendente per certi versi anche la tripletta finale: “A Dialogue In B Flat Minor” non è una strumentale come lascerebbe presagire il titolo bensì un altro brano che figurerebbe bene di fianco a “My Sweet Shadow” (con però un ritornello ancora più rotondo e qualche ulteriore finezza percussiva), così come, continuando nel gioco delle somiglianze, End Of Transmission” sta a metà strada tra il cantato gutturale di “F(R)iend” e il loop ipnotico di “Your Bedtime Story Is Scaring Everyone”; in mezzo, spazio anche per la robotica “Cynosure”, altro brano dove la sezione ritmica si erge a protagonista insieme agli esperimenti vocali di un Friden qui quasi in versione Passenger (side project di vent’anni fa che meriterebbe una riscoperta).
Un passo avanti con uno sguardo indietro: questo per noi è “Foregone”, un ‘requel’ ben riuscito che porta il metal moderno dei primi Duemila negli anni venti del ventunesimo secolo, strizzando l’orecchio oltreoceano (da dove arrivano tre quinti della formazione e il produttore Howard Benson) ma con i piedi ben piantati nella natia Gothenburg da dove tutto ebbe inizio.