7.5
- Band: IN FLAMES
- Durata: 00:50:47
- Disponibile dal: 01/03/2019
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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E venne il giorno. Dopo la malinconia del periodo berlinese (“Siren Charms”) e l’eccessiva allegria del periodo californiano (“Battles”), gli In Flames sembrano aver finalmente trovato il giusto compromesso con “I, The Mask”, tredicesimo album che segna l’ennesimo nuovo inizio nella carriera della formazione svedese (ormai americana d’adozione), con un occhio rivolto al futuro e un orecchio al passato. La maschera IF della collezione ’19/20, come peraltro preannunciato, riprende fin dall’opener “Voices” quell’aggressività moderna tipica degli anni ’00 (dal seminale “Reroute To Remain” all’oggi compianto “A Sense Of Purpose”), unendola alla poliedricità vocale nel frattempo raggiunta da Mr. Friden dietro al microfono, in un cocktail esplosivo che farà verosimilmente felici fan della seconda e della terza era (chi è fermo a “Whoracle” o “Colony” si metta definitivamente l’anima in pace). La buona notizia è che, tra le già note “I Am Above”, “I, The Mask” e “Burn” e le ancora inedite “Call My Name” e “We Will Remember” (quest’ultima invero più nu-metal), la tracklist abbonda di pezzi che potremmo definire come ‘tupa tupa 4.0’, ovvero quanto di meglio ci si possa aspettare dagli In Flames 2020. Se il testosterone abbonda, non poteva mancare ovviamente una dose di glucosio, con ben tre ballad: se “Follow Me” e “In This Life” convincono a metà (da questo punto di vista “Come Clarity” e “Siren Charms” offrivano ben di meglio), a salvare la situazione ci pensa la conclusiva “Stay With Me”, pezzo dal retrogusto squisitamente pop ma toccante tanto nell’interpretazione quanto negli arrangiamenti orchestrali, capaci di toccare le giuste corde dell’anima. Pollice alzato anche per “Deep Inside” (con un riff più esotico) e “All The Pain” (parente stretta di “Paralyzed”), mentre il giudizio su “(This Is Our) House” è già stato espresso: pacchianata pazzesca (con l’aggravante di un testo degno della prima Smemoranda), ma perfetta per essere intonata dal vivo, e trattandosi dell’unica ‘americanata’ del disco chiudiamo volentieri un occhio. Tirando le somme, impresa non facile nel caso di una band dal multiforme ingegno come gli In Flames, possiamo dire che “I, The Mask” riprende là dove “Sounds Of A Playground Fading” ci aveva lasciato, aggiungendo qualche spunto dei due lavori successivi e strizzando sempre più l’occhio al mercato americano (merito principalmente della produzione patinata ad opera degli hit-makers Howard Benson & Chris Lord Alge), senza però eccedere in facilonerie eccessive come il suo predecessore. Destinato verosimilmente a far discutere, per chi scrive stavolta la premiata coppia Friden & Gelotte ha fatto 13, confezionando il miglior lavoro (a pari merito con il già citato SOAPF) dell’era post-Jesper.