7.0
- Band: IN FLAMES
- Durata: 00:51:39
- Disponibile dal: //2002
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Audioglobe
Ci sono dei momenti in cui bisogna avere coraggio. Coraggio di mettersi in discussione, di cambiare e cambiarsi per dare inizio ad un nuovo ciclo, una nuova stagione, o più semplicemente ‘continuare’ un nuovo segmento esistenziale smettendo i panni in disuso e vestendo un abito nuovo di zecca. Pensate che sia forse semplice mettersi in discussione, o che convenga invece rimanere ancorati ai successi raggiunti? Chiedetelo agli In Flames che, con il successo di pubblico raggiunto con un album come “Clayman”, avrebbero tranquillamente potuto vivere di rendita continuando a riciclare le stesse idee da qui all’infinito. Registrato da Daniel Bergstrand nei Dug-Out Studios dopo la fine di un sodalizio apparentemente incorruttibile con i Fredman Studios, “Reroute To Remain” si propone come un’indubbia – e per certi versi spiazzante – ventata di freschezza per la band svedese, al punto che la prima sensazione che percorre l’ascoltatore durante le quattordici tracce, ancor prima dell’indignazione o del compiacimento, è lo stupore. Stupore perché da una band che sembrava aver perduto ogni stimolo di progressione artistica, e che pareva proiettata verso un vicolo cieco di riff, armonie e soluzioni che troppo spesso inciampavano nel tranello dell’autocelebrazione, arriva finalmente un prodotto ‘nuovo’ in tutti i sensi, che suona diverso sia nella sostanza che nella forma da quanto fatto di recente e che, pur non slacciandosi completamente dall’eredità genetica dei ‘vecchi’ In Flames, riesce a rimarcare un rinnovato desiderio di crescita artistica. “Reroute To Remain” è per certi versi la fine di un oscuro tunnel che sembrava essere interminabile, ed il conseguente ritorno alla vista con tutti gli effetti collaterali che una così prolungata giancenza limbonica può comportare e che, nel caso dei nostri, si traduce in un’incostanza compositiva che fa schizzare i ‘nuovi’ In Flames in ogni direzione possibile, talvolta sorprendendo e talvolta invece convincendo solo parzialmente; nelle quattordici tracce di questo sesto full-length album si ha spesso l’impressione che i nostri azzardino troppo, cercando tutto d’un colpo soluzioni inedite ad ogni costo, cadendo così in qualche ingenuità di troppo che trasuda però forza di rinnovamento e volontà di evoluzione. Brani come “System”, “Cloud Connected”, “Free Fall”, “Trigger”, sono tra gli esempi più esaustivi della nuova direzione intrapresa dagli In Flames – così pregni di nuova energia e coadiuvati da un approccio inedito nel guitarwork ma soprattutto nell’uso delle corde vocali di Anders Fridén e delle backing vocals – che, accostati ad episodi più prevedibili come “Minus”, “Transparent”, “Egonomic”, “Dark Signs”, costituiscono la materia stridente di questo “Reroute To Remain”: così eccitante e rinfrescante, ed al tempo stesso così cangiante e camaleontica da non riuscire a convincere pienamente. Del resto, da un assemblaggio di quattordici movimenti così eterogeneo e variegato, era prevedibile – se non doveroso – attendersi anche l’incostanza e la parca risolutezza di una band che decide di venire alla luce per una seconda volta senza rinnegare il proprio passato, ma mettendolo al servizio di una nuova vita. Ma va bene così: meglio un “Reroute To Remain” con qualcosa da dire che altre cento volgari riletture di “The Jester’s Race”, e soprattutto meglio una band che, pur non centrando pienamente l’obiettivo, riesce di nuovo a mettersi in competizione, piuttosto che l’amorfa creatura vampirizzata dal successo che avevamo conosciuto fino a poco tempo fa.