7.0
- Band: IN FLAMES
- Durata: 00:47:04
- Disponibile dal: 29/03/2004
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Audioglobe
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Puntuali come dei metronomi svizzeri e più prolifici di una qualunque mamma-coniglio, tornano a farsi sentire i nostri cari, amati In Flames! I paladini più illustri, gloriosi e di maggior successo di quella crociata chiamata “death metal melodico” sfornano, con questo nuovo “Soundtrack To Your Escape”, dal titolo vagamente pretenzioso, uno dei dischi più attesi del 2004. Dunque, avevamo lasciato la band di Jesper Stromblad ed Anders Fridèn alle prese con le rinnovate sonorità concepite per il precedente “Reroute To Remain”, ovvero un ibrido di metallo moderno, ancorato sì al death metal, ma con lo sguardo proiettato verso correnti musicali decisamente più mainstream. Ebbene, la curiosità per tale nuova release sta tutta nello scoprire verso quali sponde l’act scandinavo abbia orientato la propria bussola, stavolta: chiunque sperasse, anche per un breve, fuggente attimo, un ritorno alle sonorità del magico trittico “The Jester Race”/”Whoracle”/”Colony” rimarrà amaramente deluso; fortuna vuole, d’altro canto, che il gruppo non abbia preso come punto di riferimento neanche “Clayman”, ovvero, per chi scrive, il lavoro più scadente della loro discografia; detto questo, la più banale delle ipotesi è quella che rimane: “Soundtrack To Your Escape” è l’ideale prosecuzione di “Reroute To Remain”…e solo per questo, probabilmente, sentirete e leggerete una caterva di critiche negative piovere sulla testa del quintetto. Be’, pazienza! Di certo, gli In Flames sono cambiati e quelli del passato difficilmente ritorneranno…e allora conviene predisporsi bene, aprire la mente e godersi le canzoni del platter in questione, sì contaminate, ma belle comunque. Una produzione magistrale, superante anche quella del perfetto “Colony” e marchiata Dug-Out Studios/Daniel Bergstrand, fa solo da contorno ad una dozzina di pezzi che si fanno piacere fin dai primi, sommari ascolti. Il songwriting non è cambiato molto, ma qualche differenza la si nota bene: c’è, innanzitutto, la netta predominanza di riff triggerati/stoppati, quasi onnipresenti durante l’evolversi dell’album; i classici spunti melodici “à la In Flames” (avete presente le melodie portanti di “Jotun” o “Embody The Invisible”?) sono qui confinati solo nella penultima “Dial 595 – Escape”, peraltro una delle song migliori, per dare spazio ad una pletora di schitarrate compresse, cupe e sinistre (attenzione, prendere questi termini con le pinze); i chorus, con le solite sovrapposizioni vocali, sono molto orecchiabili e quasi tutti ben riusciti, da segnalare in particolare quelli di “Touch Of Red” e “My Sweet Shadow”; l’esecuzione da parte dei cinque svedesi è impeccabile e Anders è bravissimo a sperimentare innumerevoli soluzioni effettistiche per la sua voce, fra le quali la sua tipica impostazione semi-robotica, ben apprezzabile nella semi-ballad “Evil In A Closet” e nell’ottimo singolo “The Quiet Place”, dotato di melodie iper-penetranti; buoni, per chi è in grado di apprezzarli, gli arrangiamenti elettronici di Orjan Ornkloo, bestemmia per qualcuno, tocco in più per qualcun altro; è da rilevare, infine, l’assenza, forse voluta, di pezzi interamente pacati, quali erano “Dawn Of A New Day” e “Metaphor” del precedente disco. Non tutto, ovviamente, si mostra nella sua versione positiva, in quanto sono facilmente riscontrabili una certa monotonia d’insieme e una marcata carenza d’ispirazione, evidenti soprattutto nella prima parte dell’album, ad esclusione della sorprendente opener “F(r)iend”, un pezzo massiccio, senza chorus melodico, né voce pulita e deliziosamente atipico per i nuovi In Flames, dove i brani si susseguono piuttosto simili…ecco, diciamo che il gruppo non si è di certo spremuto troppo per cercare di realizzare un album memorabile! Se poi siano riusciti a scrivere comunque un bel disco, allora complimenti! In definitiva, la sentenza è quella che tutti si aspetterebbero: se vi è piaciuto “Reroute To Remain”, allora forse “Soundtrack To Your Escape” vi piacerà anche di più; se siete inguaribili nostalgici delle bordate sonore di “Graveland” o delle complicate trame di “Worlds Within The Margin”, allora state alla larga dal nuovo In Flames e andate a scovare da qualche altra parte la “colonna sonora per la vostra voglia di evadere”…