8.0
- Band: IN MOURNING
- Durata: 00:53:46
- Disponibile dal: 05/20/2016
- Etichetta:
- Agonia Records
- Distributore: Masterpiece
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Affondano le proprie radici in una quiete tempestata di angoscia gli In Mourning, abili nel creare un melodic death tendente al pensiero e all’introspezione – già caro ad act quali Amorphis e Opeth – che culmina in questo nuovo “Afterglow”, in cui gli svedesi tirano le fila di un modus operandi votato ad una malinconica ricercatezza, una pesantezza in cui i clamori sono sì assordanti ma anche tenui e plumbei. Vi sono sì sfuriate ma fugaci eppure incontrollate, come onde che s’infrangono contro gli scogli sui quali troneggia il faro della splendida copertina, e così, con una chiara apertura verso un progressive cupo e meditativo, le composizioni di questo nuovo lavoro degli svedesi tendono a rallentare, a respirare, a prendere fiato su una sedia vista mare racimolando suggestioni e facendo i conti coi propri demoni, allo stesso tempo permettendo repentini cambi d’umore e sfogo. Se l’apertura con “Fire and Ocean” è su una base melodic death che alterna velocità a un trasognante e riflessivo rimbalzare di tempistiche in cui riusciamo, sin da subito, ad apprezzare tanto l’omogenea produzione quanto la forma esemplare della band, già nella seconda traccia, “The Grinning Mist”, si sente un affrancarsi (non totale) dal death stesso, aprendo quasi con sonorità post-rock che fanno pensare più a Russian Circles o God Is An Astronaut che non ai Dark Tranquillity; tendenza questa che farà il paio con riflessi di innesti alternative/prog rock à la Porcupine Tree in taluni frangenti delle sette tracce presenti. “Afterglow” ci coglie di soppiatto quando non del tutto impreparati, e proprio quando ci troviamo a decodificare sonorità che rimandano magari agli Amorphis era “Elegy” o agli Insomium, ecco che momenti come “Ashen Crown” o “Below Rise To The Above” ci riportano immediatamente alle atmosfere che Mikael Akerfeldt e soci usavano creare ai tempi di “Blackwater Park” o “Deliverance”. Non siamo di fronte ad un album immediato, anzi: “Afterglow” necessita diversi ascolti per poterne accogliere tutte le sensazioni e gli sforzi racchiusi in esso, ma le partiture tendono a strisciare tanto nella testa quanto nell’animo, così da divenire noi stessi succubi o interpreti di una “The Lighthouse Keeper”, piena com’è di accenti in cui la sezione ritmica crea tappeti che permettono alla front-line di disegnare affreschi appena accennati, e per questo tanto emozionanti quanto effimeri, che si alternano ad accelerazioni ed un riffing tanto serrato quanto esistenziale. Un full length che si rivela una tappa cui dare assolutamente credito mediante attenti ascolti, soprattutto se vi sentite orfani di un certo death introspettivo ed orientati verso viaggi creati da tessiture pulite e contemporaneamente efficaci: viaggi che ci sentiamo di consigliare.