7.5
- Band: IN VAIN
- Durata: 00:42:25
- Disponibile dal: 26/01/2018
- Etichetta:
- Indie Recordings
- Distributore: Audioglobe
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Sarebbe un vero peccato essere amanti di sonorità progressive/folk metal, e non aver mai sentito un gruppo come gli In Vain. Formati da quella che è praticamente la live band dei Solefald, il combo norvegese è giunto con questo full-length alla quarta uscita discografica in dieci anni di carriera. Dieci anni durante i quali, i Nostri, hanno cambiato pelle in maniera assolutamente radicale, partendo dal black metal degli esordi e arrivando a quello che è oggi un suono che viaggia a metà strada tra Borknagar, Solefald (e ci mancherebbe), passando per Arcturus, Vintersorg e via dicendo, spaziando tra lidi più e meno estremi, bilanciando al meglio le diverse anime e ispirazioni. Il songwriting messo in mostra in questa occasione è maturo e incisivo, credibile sia nei frangenti più catchy, come ad esempio il singolo “Soul Adventurer”, che vede anche la partecipazione di Matt Heafy dei Trivium, che in quelli più aggressivi. Un esempio lampante di quanto appena descritto è il brano “Blood We Shed” dove troviamo una parte iniziale della strofa roccioso e pachidermico, prettamente death metal, ma che andrà ad infrangersi in un bridge centrale dalle melodie abbacinanti e magniloquenti, che ci hanno portato alla mente alcune cose degli ultimi Leprous – peraltro dietro alle pelli, non crediamo per caso, troviamo seduto il batterista di questi ultimi Baard Kolstad. Un altro pezzo memorabile è “En forgangen tid (Times of Yore Pt. II)” dove si respirano arie di avantgarde e folk con questo uso azzeccatissimo delle tastiere e dei cori vocali in un compendio maestoso che cullano l’ascoltatore verso la parte finale del brano, cullandolo in un riff dondolante e dalle atmosfere gotiche e quasi doom: ci sono venuti in mente i primi Amorphis e Katatonia, tanto per intenderci. Questi sono soltanto due esempi, utilizzati al solo scopo di far capire alcuni dei punti di forza del loro sound, ma per la verità ogni brano meriterebbe una menzione per un motivo o per l’altro e i momenti di noia, nei quarantadue minuti di durata del disco, sono davvero ridotti ai minimi termini. Dal punto di vista strettamente musicale avrete capito che stiamo parlando di un disco di valore, ma se lo contestualizziamo allo scenario attuale diciamo che siamo ancora un po’ lontani dal definire gli In Vain come uno di quei gruppi in grado di tracciare la rotta: la sensazione è quella di essere al cospetto di una band di bravi/ottimi musicisti che ripropongono le loro influenze e i loro background musicali, componendo con passione e intelligenza dei buonissimi brani, interpretandoli in maniera formalmente ineccepibile ma non con qualcosa che ce li faccia riconoscere senza ombra di dubbio. Tuttavia citeremmo gli In Vain a titolo di esempio parlando di realtà che, pur non avendo una personalità dirompente, compongono musica validissima e piena di pathos e ispirazione. Quello che rimane indiscutibile è il valore di “Currents”: un disco pieno di sfaccettature e umori, che raramente vive momenti di noia e che, se siete amanti delle sonorità sopra menzionate e, più in generale delle melodie accessibili e non troppo cervellotiche, dovete necessariamente ascoltare.