8.0
- Band: IN VAIN
- Durata: 01:03:03
- Disponibile dal: 18/01/2010
- Etichetta:
- Indie Recordings
- Distributore: Audioglobe
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E’ davvero difficile descrivere a parole le sensazioni che permangono all’interno del corpo dopo avere ascoltato “Mantra” degli In Vain. Descrivendolo da un punto di vista meramente tecnico si rischia di non rendere giustizia al lavoro, mentre sotto il profilo emotivo si andrebbero a sovrapporre troppe cose e si perderebbe di vista l’obiettività. Resta il fatto che, a tre anni di distanza dall’ottimo esordio “The Latter Rain”, i norvegesi tornano a colpire al cuore, utilizzando però delle armi differenti rispetto al passato. La componente estrema, segnatamente black e death è decisamente calata, pur rimanendo sempre assolutamente presente; anche la voglia di stupire con soluzioni iperboliche è stata parzialmente accantonata. Gli In Vain oggi puntano su un maggiore senso melodico, una vena progressiva più marcata ed una ricerca sui suoni decisamente notevole, senza dimenticare degli input mutuati direttamente dall’heavy classico (ascoltate il riffing portante di “Dark Prophets, Black Hearts”) e dal rock. Certo, la band non rinnega quanto fatto in passato, del resto un certo approccio sinfonico alla materia è presente anche su “Mantra”, ma il tutto è fatto più di misura ed in maniera più coscienziosa e controllata. Ci sono sempre rimandi a Vintersorg e ai Solefald, ma stavolta sono miscelati con umori di Shadow Gallery e Savatage e finezze in fase di arrangiamento degne dei Muse, sempre rivisti e filtrati in ottica extreme, non aspettatevi cedimenti strutturali da questo punto di vista! I nostri, insomma, dimostrano di saper colpire ancora duro, come dimostrano l’opener “Captivating Solitude” o la successiva “Ain’t No Lovin’”, dal mood più doomish ma sempre e comunque pesante. D’altro canto Sindre Nedland e soci sanno ancora stupire, ad esempio con il root blues di “Mannefall”, che si fonde magistralmente con la successiva “On The Banks Of The Missisippi”, oppure con i tribalismi di “Wayakin”, tra Vintersorg e Slough Feg! Che dire poi della lunga e conclusiva “Sombre Fall, Burdener Winter”, miscela perfetta di quello che sono gli In Vain nel 2010 e che al proprio interno contiene una parte strumentale progressiva addirittura commovente. Da segnalare che le tastiere e l’effettistica di Nedland non occupano più il centro del proscenio, lasciandolo alla stratosferica sei corde di Johnar Haaland, vero e proprio virtuoso dello strumento. Insomma, “Mantra” non sarà certo un lavoro perfetto, ma rimane comunque un grandissimo album, uno dei primi dell’anno appena iniziato. La sfida è lanciata, vediamo chi avrà ancora il coraggio di ignorare gli In Vain ora!