7.5
- Band: INCANTATION
- Durata: 00:41:47
- Disponibile dal: 25/08/2023
- Etichetta:
- Relapse Records
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Oltre a molte cose molto più serie e, purtroppo, tragiche, la pandemia e i conseguenti lockdown hanno rappresentato una sorta di nemesi per “Sect of Vile Divinities”, l’album degli Incantation uscito nell’estate del 2020. Purtroppo, i death metaller statunitensi – come del resto moltissime altre band – non hanno avuto la possibilità di promuovere subito la loro ultima fatica, rimanendo confinati a casa a lungo e senza alcun piano preciso per l’immediato futuro. La pausa forzata lontana dai palchi ha tuttavia messo il gruppo nelle condizioni di comporre altra musica e di lavorarvi con calma, avendo in testa l’obiettivo di dare a quella solidissima prova di vitalità chiamata “Sect…” un successore più che all’altezza.
A tre anni esatti dalla pubblicazione di quel lavoro – e con tanti tour in tutto il mondo nel frattempo portati finalmente a termine – ecco quindi arrivare un nuovo album marchiato Incantation. Bersaglio colpito? Senza dubbio. Certo, da un lato potremmo dire che da tempo lo stile della band si sia codificato e che il suono sia meno viscerale e tracimante rispetto a una volta, ma, d’altronde, parliamo pur sempre di una realtà storica di questo genere musicale, la quale, giustamente, ha ormai da decenni una propria formula inconfondibile e, di conseguenza, tutto il diritto di rivendicare quest’ultima a ogni appuntamento. Piuttosto, ci preme sottolineare come il songwriting del quartetto si mantenga puntualmente ben sopra la sufficienza, come se, a dispetto dell’età ormai avanzata, John McEntee continui a vivere sulle ali di un profondo entusiasmo.
Di certo, gli ultimi anni hanno regalato varie soddisfazioni alla band, la quale finalmente ha visto riconosciuti i suoi sforzi e la sua influenza da una moltitudine di giovani realtà che sin da subito hanno voluto citare gli Incantation fra le loro principali fonti di ispirazione. Questo clima particolarmente ricettivo non può che rappresentare un importante ascendente su una figura come quella di McEntee, compositore prolifico e leader di un movimento che da sempre dà il meglio quando mantiene forti radici nell’underground.
Non è un caso che come spalla in sede di composizione, il chitarrista/cantante si sia circondato sia di un veterano come il bassista Chuck Sherwood, sia di un virgulto come Luke Shively, recluta giovane ed entusiasta che fa appunto parte di quella schiera di musicisti cresciuti con il culto di opere come “Onward to Golgotha”. Con questo affiatato team (al quale si aggiunge lo storico batterista Kyle Severn), gli Incantation hanno fatto confluire nel nuovo “Unholy Deification” un mix di esperienza e rinnovato vigore, guardandosi bene dall’abbandonare le dinamiche del loro genere di riferimento, ma al tempo stesso senza appiattire il tutto su composizioni da classico ‘compitino’.
Anche in questo lavoro, l’alternanza death/doom, ferocia/lentezza, e la progressiva aggiunta di ulteriori ricami, soprattutto in fase solista, sono rintracciabili in quasi tutti i dieci episodi della tracklist. Se “Sect…” sembrava porre un particolare accento sui contrasti, alternando brani anche molto brevi con pezzi più articolati e dallo smaccato spirito death-doom, “Unholy Deification” si rivela più compatto, con canzoni dallo sviluppo maggiormente uniforme, dove tutto o quasi ruota attorno ai riff e agli spunti della coppia McEntee/Shively. L’impronta densa e sinistra, di ascendenza doom, è quella di sempre, ma, grazie alla ormai consueta produzione nitida ed equilibrata, la band riesce comunque a dare grande profondità emotiva alle proprie composizioni, non disdegnando la melodia e qualche motivo più orecchiabile.
Sembrano sempre esserci delle rigide linee guida alla base della proposta degli Incantation, tuttavia il gruppo trova regolarmente il modo di metterci davanti a interessanti cambi di passo e a riff che restano presto in mente – vedi “Chalice (Vessel Consanguineous) VIII” o “Convulse (Words of Power) III”. Tutto si riconduce evidentemente alla felice ispirazione che da qualche tempo muove questi musicisti: siamo al cospetto di una formazione più che mai consapevole dei propri mezzi, che è in contatto con il panorama che la circonda e che suona e compone con spontaneità. La differenza rispetto ad altri veterani sta tutta qui.