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- Band: INCUBUS
- Durata:
- Disponibile dal: //2001
Notevole. In genere quando ho tra le mani un nuovo album di una delle mie bands preferite lo ascolto e riascolto anche decine di volte prima di esprimere una qualunque opinione, ma devo ammettere che con questo Morning View è stato amore a primo ascolto. E’pura poesia, un parto del cuore, generato da stati d’animo differenti, ogni singolo riff sembra scaturire da fonti di ispirazione molto legate alla sfera dei comuni sentimenti, potrei azzardare un termine inconsueto e definire ciò che ho ascoltato come musica visuale, forse perchè ogni brano sembra avere un suo scenario specifico, ad ogni singola nota il mondo circostante prende forma e si colora con le tonalità calde ed avvolgenti della California, dove l’intero disco è stato partorito e registrato. I Faith No More del terzo millennio hanno fatto centro ancora una volta con un disco ricco, personale ma soprattutto energico e passionale, una convincente miscela di rock, funky, rythm & blues e acid jazz, il tutto sapientemente amalgamato dai cinque virtuosi del crossover moderno. Brandon Boyd, singer e leader carismatico della band, non finirà mai di meravigliarmi, forte di una tecnica invidiabile unita ad una capacità espressiva fuori dal comune che lo collocano meritevolmente nella mia personale “singer’s top 3” assieme a sua maestà Mike Patton e al grandioso Chris Cornell (c’è ancora qualcuno che non li conosce?). Non ci sono tempi morti in questo disco, tutto scorre fluido come l’acqua attraverso fasi più aggressive, momenti contemplativi e sonorità evocative, mi è capitato di perdere la cognizione del tempo ascoltando brani come “11am” o “Are You In?”, o di sentirmi trasportato in altri luoghi con la bellissima “Mexico” o la conclusiva “Aqueous Transmission”, in alcuni passaggi sembra quasi di percepire l’odore della salsedine e della sabbia umida sollevata dal vento, la prima traccia “Nice To Know You” è una perfetta sintesi delle varie impronte stilistiche della band, mentre con “Circles” emerge il groove che ha caratterizzato le più recenti composizioni. Chiare reminiscenze di Make Yourself prevalgono anche in altri brani, come “Echo” o “Have You Ever”, ma è altrettanto evidente che la band ha deciso di intraprendere nuovi percorsi musicali, come nella psichedelica “Under My Umbrella” o nella pinkfloydiana “Just A Phase” in cui la somiglianza tra Boyd e Patton è quasi sorpredente. Non mi ha colpito particolarmente invece il brano scelto come primo singolo “Wish You Were Here”, forse il pezzo più prevedibile dell’intero disco ma comunque efficace e d’impatto. Unica pecca di questo lavoro potrebbe essere l’artwork, forse un pò troppo da cartolina. Ok ragazzi, ho detto anche troppo, a questo punto credo sia più che giusto giusto lasciar parlare la vera musica, quella suonata suonata con il cuore, di una delle band più espressive della storia.