7.5
- Band: INFECTION CODE
- Durata: 00:51:47
- Disponibile dal: 18/04/2025
- Etichetta:
- Nadir Music
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L’avevamo previsto all’altezza della recensione del precedente disco, “Sulphur”, che gli Infection Code sarebbero giunti in brevissimo tempo all’agognato e meritatissimo traguardo del decimo full-length della loro storia. Non che tale lettura della sfera di cristallo fosse poi tanto difficile da profetizzare, considerata la strepitosa prolificità della band piemontese nei suoi più recenti anni di vita, ma seguendola da davvero tempo immemore ammettiamo di esserle particolarmente affezionati.
E’ innegabile che Gabriele Oltracqua e compari stiano vivendo una brillante seconda giovinezza, paradossalmente iniziata con l’abbandono dello storico bassista/programmer Enrico Cerrato dopo la pubblicazione di “Dissenso” (2018). Pur vivendo in una cronica instabilità di line-up per gli anni immediatamente successivi – soprattutto per quanto concerne il posto di chitarrista – gli Infection Code hanno piantato rapidamente i semi per la rinascita, inanellando una serie di album via via sempre più direzionati verso l’estremo e lasciando da parte la fortissima sperimentazione dei lavori di mezzo della carriera: “In.R.I.” nel 2019, “Alea Iacta Est” nel 2022 e “Sulphur” nel 2023 hanno rivitalizzato la band sia in studio, sia per quanto riguarda l’attività live, tornata, in momenti difficili come questi, a buoni livelli.
Ora i Nostri, giunti appunto a “Culto”, decimo disco in studio, possono anche vantare una formazione stabile, agguerrita e diremmo perfetta per affrontare i tortuosi sentieri della scena metal underground di metà anni Duemilaventi: Oltracqua ed il batterista Riky Porzio colonne portanti e fondatrici del gruppo, Chris Perosino instancabile chitarrista macina-riff e Andrea Rasore ingresso di groove, attitudine e ‘peso’ al basso hanno finalmente chiuso il cerchio con la composizione del nuovo album, non molto distante dalle ultime uscite ma curatissimo sotto ogni punto di vista, partendo dal bellissimo artwork per giungere a quella che probabilmente è la produzione migliore, giudicata in base al tipo di stile proposto – impensabile, ad esempio, fare paragoni tra “Culto” e “La Dittatura Del Rumore” del 2014 – mai avuta dagli Infection Code.
Tutto suona bene, spesso, grasso, pesante, non troppo underground ma neanche troppo moderno, e con un sano retrogusto death stoccolmiano che calza a pennello.
Il quartetto nostrano ha trovato in Perosino una sei corde senza molti limiti in ambito estremo, a cui piace spaziare tra le varie correnti senza paura: a livello chitarristico si possono quindi trovare, nelle dieci tracce componenti l’album, rimandi al thrash, neanche troppo prevalenti, al death, al melo-death, al black melodico, al groove metal, mettiamoci anche un filo di metal-core per i meri canoni stilistici.
Torna ad essere dunque un metallo estremo poco definibile, sui generis, quasi a 360°: ciò non deve risultare però in accezione negativa, in quanto si percepisce, in “Culto” come nei lavori subito precedenti, la volontà di fregarsene delle etichette, dei generi e delle definizioni, per dare risalto all’idea principale di “prendiamo i riff che arrivano e vediamo di costruirci sopra delle canzoni che spaccano!”.
Porzio alle pelli, lo ripetiamo ogni volta, è una sicurezza per potenza, fantasia, precisione e capacità di trovare sempre il miglior pattern su cui fondare la base ritmica di un pezzo; Rasore lo segue alla perfezione, inspessendo trame già corpose; Gabriele alla voce, dal canto suo, ormai si diverte ad interpretare i pezzi con timbri (estremi) diversi, a seconda dell’esigenza dell’episodio, si voglia più cupo e growl, si voglia più Schuldiner-oriented come in “Plague Daemon”. Torna anche qualche arrangiamento industrial, che ormai la band si limita ad usare a piacimento come surplus d’atmosfera ad uno stile compositivo molto viscerale e diretto.
In una tracklist piuttosto compatta e senza grossi cali di tensione – punto positivo per un lavoro che si fa ascoltare piacevolmente dall’inizio alla fine – segnaliamo volentieri la veloce e iperattiva “Cursed Breed”, la multisfaccettata “Inner Infernus”, che cresce prodigiosamente con gli ascolti, il singolo “Faceless God”, scelta azzeccata per approccio vocale e gran riffing, l’accoppiata “Nail In The Wall”/”Great Old Ones”, in convincente apertura d’album, e la più atipica “Dead Brain’s Oblivion”, semi-ballata con un imprevedibile tocco southern/western che intervalla con gusto e originalità l’univoca violenza del resto del disco.
Un altro tassello piazzato in bacheca, dunque, per gli Infection Code, una realtà del panorama metallico nostrano che, mai quanto ora, sta facendo vedere e sentire il suo reale valore. Avanti così, ragazzi!