7.5
- Band: INFRAHUMANO
- Durata: 00:38:26
- Disponibile dal: 31/10/2025
- Etichetta:
- Lavadome Productions
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Come spesso accade con le uscite Lavadome Productions, anche “Depths of Suffering” degli spagnoli Infrahumano arriva un po’ in sordina, senza clamori promozionali né fanfare. Eppure, basta qualche minuto d’ascolto per capire che ci troviamo di fronte a un album di death metal vero, solido, costruito da musicisti che conoscono la materia a fondo e ne rispettano la tradizione senza aderire a una scuola specifica. È un disco per appassionati esperti, pensato e realizzato con la consapevolezza di chi sa dove affondano le radici del genere e vuole farle germogliare ancora, in un terreno ormai battuto ma tutt’altro che sterile.
“Depths of Suffering” è il secondo album della band e si muove con sicurezza all’interno di una geografia ampia del death metal: dagli echi statunitensi, chiaramente udibili in certe trame che richiamano i Morbid Angel o gli Immolation, fino a infiltrazioni sudamericane che emergono nei momenti più feroci, dove l’attacco diventa quasi barbaro, con un taglio che rimanda a certe scuole brasiliane anni Novanta. Non mancano, qua e là, suggestioni che fanno pensare all’Europa orientale, specialmente a quella spigolosità diretta e terrena che rese un tempo i Krabathor un nome di culto.
La principale forza del disco sta nella sua capacità di fondere tutti questi elementi senza perdere compattezza: le nove tracce che lo compongono formano un corpo unico, coerente nella sua cupezza, ma mai appesantito da un eccesso di fumo o da produzioni volutamente lo-fi. Anzi, il suono è curato e robusto: il lavoro di mastering di Greg Wilkinson (già dietro opere di Autopsy, Hyperdontia, Necrot) contribuisce a mantenere l’equilibrio tra chiarezza e pressione, permettendo al gruppo di conservare la propria ruvidità senza sacrificare la leggibilità dei brani.
Laddove molte uscite contemporanee tendono a rifugiarsi nell’ermetismo o nell’estetica della nebbia per conferire un’aura di profondità, gli Infrahumano scelgono dunque una via più diretta e, in un certo senso, più vecchia scuola. Le loro canzoni respirano: alternano passaggi di opprimente gravità a momenti più dinamici, con un senso del ritmo che resta sempre saldo, mai gratuitamente caotico, offrendo abbastanza variazioni da stimolare anche orecchie allenate. Il quartetto alterna con una certa intelligenza momenti di groove a scariche di rapidità, senza però affidarsi a schemi troppo prevedibili o a una semplice alternanza “lenta/veloce”. Questa sorta di imprevedibilità, pur restando all’interno di un canone riconoscibile, dona al disco una sua freschezza e coesione: non è solo un bombardamento costante, né un mero cadenzato in loop, ma uno svolgimento libero in cui l’ascoltatore viene trascinato dalla spinta e dal respiro dei pezzi. Non siamo dunque al cospetto di un lavoro che cerca di respingere l’ascoltatore con un muro di oscurità, ma uno che lo accompagna, spingendolo sempre più giù nelle proprie spire, con un intento chiaramente comunicativo.
Non tutto, va detto, colpisce allo stesso modo: alcuni brani risultano più immediati e incisivi, altri condensano forse troppi spunti, ma anche questa leggera disomogeneità contribuisce al fascino complessivo del lavoro, che suona vivo, spontaneo, senza la pretesa di perfezione. È un album che trasmette convinzione, che parla il linguaggio del death metal senza accenti posticci, e che trova un equilibrio interessante tra brutalità e lucidità compositiva. In questo senso, gli Infrahumano si inseriscono perfettamente nella linea editoriale della Lavadome, che quest’anno ha già dato alle stampe il potente ritorno dei Chaos Inception. Non siamo su quei picchi di ispirazione, ma “Depths of Suffering” conferma la coerenza e la qualità di una label che continua a pubblicare dischi concreti e appassionati, lontani da ogni artificio. Un’uscita che ribadisce con forza e autenticità cosa può essere il death metal quando viene suonato con convinzione e integrità.
