7.0
- Band: INGURGITATING OBLIVION
- Durata: 01:13:14
- Disponibile dal: 27/09/2024
- Etichetta:
- Willowtip Records
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Capita a volte di imbattersi in alcune realtà musicali che, sin dai loro albori, presentano delle caratteristiche particolari, uniche, rintracciabili già nei loro primi lavori e via via sempre più presenti in quelli successivi, in un crescendo di novità e sperimentazione che le allontana sempre più dal comodo nido materno rappresentato da un semplice e ben identificabile genere musicale.
Gli Ingurgitating Oblivion appartengono di diritto a questa specie, e lo hanno dimostrato con i fatti: il loro non è certo mai stato un ‘semplice’ death metal dai contorni chiari e definiti, quanto un terreno di evoluzione sconnesso e variabile, battuto per le prime volte oltre venti anni fa e sondato sempre più a fondo con l’accrescersi della loro discografia nel corso del tempo.
Oggi, con “Ontology Of Nought”, i Nostri raggiungono una nuova, temibile evoluzione, che li allontana in maniera quasi pericolosa non solo dal death, ma probabilmente dalla musica metal in generale.
Per fare questo, al mastermind di sempre, Florian Engelke, ed il nuovo arrivato Norbert Müller, serve un’ora e un quarto scarso di musica, suddivisa in cinque lunghissimi movimenti tra i dieci ed i diciotto minuti, secondo una conformazione già peculiare nella sua bizzarra ripartizione, che verrà riempita con alcune delle composizioni più stralunate che avrete modo di sentire quest’anno, e non solo.
Inquadrando a grandi linee la loro proposta, verrebbe da citare sicuramente il death metal iper-tecnico di Necrophagist e Defeated Sanity (di cui non a caso troviamo il buon Lille Gruber alla batteria), ancora chiaramente rintracciabile nella prima traccia “Uncreation’s Whirring Loom You Ply with Crippled Fingers”, pronto a sgretolarsi però in un ammasso indefinibile di influenze che richiama parimenti il jazz-fusion di Allan Holdsworth (evocato negli assoli a cascata che riempiono il platter e in alcune progressioni di accordi al limite del pensabile), il folk, lo spoken word, uniti secondo un perverso gusto progressive che impedisce all’ascoltatore di trovare solidi punti di riferimento all’interno dei brani.
E’ così che, gradualmente, “To Weave the Tapestry of Nought”, inizia a rendere sempre più circoscritte le furiose parti metal, allargando invece l’orizzonte verso una concezione musicale più grande ed universale. Tutto vale per gli Ingurgitating Oblivion, e dopo quasi mezz’ora di delirio, quasi non ci si accorge di seguire ipnotizzati le voci pulite che concludono “The Blossoms of Your Tomorrow Shall Unfold in My Heart” e principiano “…Lest I Should Perish with Travel, Effete and Weary, as My Knees Refuse to Bear Me Thither” secondo una transizione davvero magistrale. Intanto, il comparto musicale sottostante è divenuto un accompagnamento elegante ma schivo, attraente ed instabile, come se i Portishead flirtassero con una band prog metal particolarmente fantasiosa e cinica.
Si arriva così a “The Barren Earth Oozes Blood, and Shakes and Moans, to Drink Her Children’s Gore”, lungo compendio finale dove torna ad affacciarsi il lato più violento della musica dei tedeschi, ma che allo stesso tempo ci fa domandare se quel che stiamo ascoltando possa ancora definirsi metal in senso stretto.
Siamo di fronte ad un’opera monumentale, a cui i suoi autori hanno lavorato incessantemente per cinque anni e che mostra, sotto un pandemonio indescrivibile dalla fruizione a dir poco ostica, una sensibilità artistica praticamente unica per un risultato avulso, eccentrico, isolato, ma dannatamente affascinante. Non tutto fila liscio come dovrebbe, ed alcune sconessioni del passato sembrano sempre dietro l’angolo, ma il miglioramento compositivo è finalmente sotto gli occhi di tutti, pronto ad essere esplorato con pazienza certosina.