6.5
- Band: INHUMAN CONDITION
- Durata: 00:28:59
- Disponibile dal: 21/07/2023
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Nonostante le loro molteplici incombenze – il chitarrista Taylor Nordberg è impegnato con i Deicide, il bassista Terry Butler con Obituary e Left To Die, mentre il batterista/cantante Jeramie Kling è un vero stakanovista, essendo ingaggiato contemporaneamente da Venom Inc., Ex Deo, Kill Division, The Absence e molti altri – gli Inhuman Condition stanno cercando di mantenere il ritmo di una nuova pubblicazione all’anno.
Dopo il debut album “Rat God” nella primavera del 2021 e il successore “Fearsick” nell’estate dello scorso anno, tocca ora a questo “Panic Prayer” cercare di mantenere vivo il nome dei death metaller statunitensi fra gli appassionati del filone. Non si tratta comunque di un nuovo full-length, bensì di una sorta di maxi EP contenente tre pezzi inediti, una divertente cover (adeguatamente appesantita) di “Godzilla” dei Blue Öyster Cult e quattro brani registrati dal vivo.
Volendo concentrarci sul nuovo materiale, il terzetto, supportato dalla solita ottima produzione, prosegue sulle coordinate ormai note, guardandosi bene dal modificare una formula che sinora ha riscosso un buon successo nel panorama underground. Come accaduto per il repertorio dei dischi precedenti, le canzoni esplodono facendosi subito segnalare per la loro linearità, librandosi come spore nell’aria e disseminando echi infiniti di classico death metal floridiano, in una danza in cui sacro e profano sembrano diventare una cosa sola. Nuovamente, la musica del trio pesca infatti a piene mani da Massacre, Obituary e dai Death di “Leprosy” e “Spiritual Healing”, mantenendo però, come accennato, uno spirito frizzante e sornione che la rende a suo modo peculiare. È come se gli Inhuman Condition cercassero di scrivere canzoni dall’impronta ‘pop’ partendo da basi death metal vecchia scuola: anziché puntare su mood e temi criptici, gli statunitensi mantengono tutto all’interno di durate assai contenute, affidandosi a strutture immediate dove tutto sembra semplice e spogliato del superfluo. Se da un lato questo approccio fa forse perdere un po’ di longevità al ‘prodotto’, dall’altro è innegabile che le canzoni della band non fatichino a restare in testa. Come accaduto in passato, i musicisti ricamano su una trama già conosciuta, ma è il come lo fanno che conta, ed episodi come “Civilized Holocaust” o la title-track, se presi singolarmente, non hanno proprio nulla che non vada, tanto che, se inseriti negli ultimi album dei suddetti Massacre e Obituary, riuscirebbero senza fatica a faresi segnalare fra i momenti migliori delle rispettive prove.
Insomma, quella del gruppo americano si riconferma musica semplice ma al contempo ben interpretata e caratterizzata, e quello degli Inhuman Condition un nome ormai di sicuro affidamento per coloro alla perenne ricerca di un death metal tradizionale e senza fronzoli.