7.0
- Band: INNERWISH
- Durata: 01:09:08
- Disponibile dal: 03/18/2016
- Etichetta:
- Ulterium Records
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Sono trascorsi ben sei anni da quando i greci InnerWish pubblicavano il loro disco “No Turning Back”, un periodo in cui la band ellenica ha dovuto peraltro far fronte a qualche problema legato alla formazione, finendo per dover rimpiazzare prima il batterista e poi il cantante, con l’inserimento, rispettivamente, di Fragiskos Samoilis e di George Eikosipentakis. Si tratta peraltro di due membri che hanno dato un sostanziale contributo al nuovo album degli InnerWish: il primo, infatti, oltre a garantire una solida sezione ritmica, si è occupato della stesura di quasi tutti i testi delle canzoni, mentre il secondo si è reso autore davvero di un’ottima performance, con uno stile influenzato, tra gli altri, da singer quali Russell Allen, Jorn Lande e Ronnie James Dio. Nel complesso, questo degli InnerWish rappresenta un comeback di buon livello: la band suona un power melodico, con qualche venatura neoclassica, trovando un buon equilibrio tra le proprie influenze, puntando perlopiù su ritmiche veloci, riff decisi e refrain accattivanti, ma lasciando spazio di tanto in tanto anche a divagazioni strumentali. A tal proposito, va anche osservato come in generale appaia un po’ sacrificato il ruolo delle tastiere, mentre il sound è accentrato in maniera più decisa attorno alle chitarre. Il disco risulta peraltro anche piuttosto vario: ad esempio, “Needles In My Mind” si distingue rispetto ai brani iniziali in quanto parte come ballata acustica per poi trasformarsi in una cavalcata maideniana. Particolare anche l’utilizzo dei cori con voci liriche, specialmente in tracce come “Machines Of Fear” e “Rain Of A Thousand Years”, e quest’ultima, anzi, pare ispirata ai Rhapsody Of Fire (che sembrerebbe tra l’altro anche richiamare nel titolo) o ai Nightwish. Verso la fine la tracklist pare presentare per la verità qualche calo d’ispirazione, in particolare con qualche traccia meno brillante come “Zero Ground” (con melodie che sembrano prese in prestito dai Virgin Steele) e con la scialba ballata “Cross The Line”. Decisamente di altro livello però la conclusiva “Tame The Seven Seas”, dedicata dal chitarrista Thimios Krikos al padre, scomparso nel 2013, dove ritorna un approccio sinfonico con cori di voci liriche, come già si era visto appunto specialmente nella sopra citata “Rain Of A Thousand Years”. Gli InnerWish in effetti non inventano nulla e non dicono nulla di nuovo, ma bisogna riconoscere comunque come siano riusciti, grazie anche ad un’esperienza ormai ventennale, a realizzare un disco carico di energia, potente ed emozionante allo stesso tempo.