7.5
- Band: INSOMNIUM
- Durata: 00:55:40
- Disponibile dal: 30/04/2002
- Etichetta:
- Candlelight
- Distributore: Audioglobe
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E’ proprio dall’unione di “Amok” e“Tales From The Thousand Lakes” con “The Gallery” e “Whoracle” che, volendo ricostruire un’ipotetica genealogia, sembra prendere vita “In The Hells Of Awaiting”, prima opera per quella che nel corso degli anni sarà destinata a diventare una delle band più amate dai nostalgici del melo-death; capace di scalare le classifiche in madrepatria e non solo, pur senza mai scendere a compromessi. Se pur ancora acerbo sotto molti punti di vista, e pesantemente debitore dei nomi citati in apertura, il primo album degli Insomnium mostra quelli che saranno i tratti distintivi del quartetto di Joensuu, minuscola città della Nord Carelia. Chitarre acustiche e parti sussurrate si affiancano dunque a ritmiche forsennate e cantato in growl, in un connubio secondo la migliore tradizione del genere, cui i Nostri aggiungono una patina di malinconia tipicamente finnica, aggiungendo alla lista delle influenze anche un pizzico di Katatonia ed Opeth (non a caso il disco esce per la Candlelight Records). Altro tratto distintivo, anch’esso mutuato dai capolavori di cui sopra, è quello dei testi, che spaziano dalla tragedia greca al decadentismo di fine Ottocento: anche sotto questo punto di vista ci sarà spazio in seguito per un’evoluzione, culminata nel monumentale concept di “Winter’s Gate”, ma l’opera primigenia lascia già intuire il gusto letterario di Niilo Sevänen e soci. Infine, grazie al contributo di 3/4 della formazione in sede di songrwiting, possiamo citare la varietà compositiva all’interno della tracklist, che trova il suo apice in pezzi come “Song of the Storm”, “The Elder” e la titletrack posta in chiusura, i cui undici minuti corrispondono ad un’immersione in un mondo magico cui non molte altre band hanno accesso. Pur pagando pegno in termini di originalità, l’opera prima degli Insomnium mostra dunque tutto il potenziale di una band che, da “In The Halls Of Awaiting” all’ultimo “Heart Like A Grave”, non sembra aver perso un’oncia della propria ispirazione, in un lento ma continuo processo evolutivo.