8.0
- Band: INTEGRITY
- Durata: 00:47:30
- Disponibile dal: 14/07/2017
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Audioglobe
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Passati attraverso l’ennesimo cambio di formazione – la grande novità è l’ingresso alla chitarra di Domenic Romeo, mente dei Pulling Teeth – gli Integrity si rifanno avanti con il nono full-length della loro travagliata carriera, a quattro anni dall’uscita dell’apprezzato “Suicide Black Snake”. è un buon momento per il gruppo di Dwid Hellion, tra un contratto con la prestigiosa Relapse Records, apparizioni a importanti festival come il Roadburn e il proliferare di una vasta schiera di allievi che inevitabilmente hanno riportato il nome Integrity sulla bocca di tanti appassionati. La band da sempre ha nel proprio codice genetico l’inclinazione al cambiamento e l’arrivo di Romeo ha giocoforza esaltato ulteriormente tale vena: da veterani dell’hardcore-metal americano, i Nostri avrebbero forse potuto finalmente puntare sull’usato sicuro, provando a dare ai fan esattamente quello che si aspettavano da una band che ormai ha davvero poco da dimostrare, ma evidentemente Hellion non ha alcuna intenzione di ridurre il suono Integrity ad un coacervo di sola urgenza, minimalismo e linearità. “Howling…”, al contrario, guarda avanti ed esplora spesso e volentieri soluzioni nuove. Come sempre, la musica del gruppo si muove su due livelli: da una parte ci sono l’impatto del vecchio east coast hardcore e l’eterno attaccamento agli Slayer, dall’altra vi è quella realtà parallela che le trame più lente sono capaci di aprire agli ascoltatori, un’esplorazione quadrimensionale delle visioni e degli incubi del frontman, immersiva e stupefacente. Un luogo sospeso in una bruma dai colori freddi, un limbo carico di segni e sentimenti negativi, misterioso e minaccioso. L’anima essenziale e furiosa è qui rappresentata da tracce come “Hymn for the Children of the Black Flame” o “I Am the Spell”, mentre episodi particolarmente lunghi e strutturati come la clamorosa “Serpent of the Crossroads”, “Unholy Salvation of the Sabbatai Zevi”, “7 Reece Mews” o la title track svelano una cura certosina per gli arrangiamenti e una rinnovata capacità di dipingere paesaggi sonori mozzafiato intrecciando le chitarre e le loro scie di feedback, inedite influenze NWOBHM e una vena epica che ricorda persino i Metallica di “Orion” o “The Call of Ktulu” e che innaffia di una luce grigia i midtempo. Non che gli Integrity abbiano bisogno di influenze, ma questa volta – anche nelle scelte di produzione – sono palesi i rimandi a certi colossi del metal, chiamati in causa per conferire al sound del gruppo un’ispirazione e uno sviluppo più magniloquente che mai. Ci sono voluti parecchi anni affinché la saga degli Integrity tornasse ad acquistare un tale smalto, ma oggi, avvolti e soggiogati da queste trame tanto fiere quanto nebulose, possiamo affermare che ne sia valsa la pena e che, nonostante l’età, Dwid Hellion e i suoi abbiano ancora qualcosa da insegnare a tutti gli epigoni nati in questo lungo lasso di tempo.