7.5
- Band: INTEGRITY
- Durata: 00:27:40
- Disponibile dal: 11/06/2013
- Etichetta:
- A389 Recordings
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Dopo un break di qualche anno dedicato soprattutto a pubblicazioni di nicchia e alle esibizioni live, gli Integrity tornano a farsi sentire con un album ufficiale, che riconferma il sodalizio fra il frontman/leader Dwid Hellion e Rob Orr, i quali ora si occupano sia di tutti gli strumenti che della produzione. Noti da sempre come una delle realtà più negative della scena hardcore, nonché per essere sostanzialmente gli inventori dell’ormai abusato termine metal-core, gli Integrity dopo oltre vent’anni di carriera hanno ormai sempre meno cose da dimostrare. Un loro nuovo album, semmai, é l’esempio che fama e successo su larga scala non sono componenti essenziali per portare avanti un progetto per anni e/o decenni. Gli Integrity vivono nel loro mondo da sempre; un mondo dominato dall’oscurità, in cui Hellion sembra ormai sempre più una sorta di diabolico oratore, che preferisce parlare alle masse piuttosto che investire queste ultime con urla e imprecazioni. La sua voce, sempre più sgraziata ma ormai quasi “normale” nell’impostazione, é sicuramente il primo elemento distintivo della formula Integrity. A corredo, troviamo però ancora una volta una proposta musicale che, nonostante si rivolga spesso e volentieri a vari generi di influenze, riesce sempre a risultare coerente e qualitativamente quasi impeccabile. Orr in breve tempo é diventato un esperto custode del suono Integrity e la sua chitarra di rado sbaglia un colpo: le tentazioni acustiche miste al riffing slayeriano della magnifica title track ne sono il primo esempio, ma potremmo citare pure il ponte tra rock sudista e hardcore della contagiosa “I Know Where Everyone Lives”, così come il blues luciferino di “There Ain’t No Living In Life” (arrangiata con tanto di armonica) o il sabba nero di “Lucifer Before The Day Doth Go”. Dopo tutto, la componente essenziale delle opere dei Nostri é da sempre l’atmosfera – ora esoterica, ora puramente apocalittica – e la presenza del visionario Hellion garantisce costantemente tutto ciò, sia a livello di melodie che di testi e di artwork. Rispetto al precedente “The Blackest Curse” é ravvisabile una maggior ruvidità nei suoni e una semplificazione delle strutture, ma tocca sempre ribadire come il gruppo non perda mai il controllo nè il suo inconfondibile tocco nell’assemblare e rielaborare hardcore, thrash, blues e doom. L’unica pecca di “Suicide Black Snake” é rappresentata dal fatto che alcuni dei suoi brani sono già stati pubblicati in versioni poco differenti su vari recenti EP, ma per chi non é solito seguire ogni minuscolo passo della carriera della band questo disco potrà rappresentare a tutti gli effetti un nuovo capitolo della discografia. Gli anni passano, ma gli Integrity non perdono un briciolo del loro fascino malvagio e “Suicide…” é l’ennesimo sfregio sul volto di chi erroneamente pensa che un background hardcore sia tutto sommato sinonimo di suoni più rassicuranti e soft rispetto al solito metal estremo.