7.5
- Band: INTER ARMA
- Durata: 00:35:09
- Disponibile dal: 10/07/2020
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Audioglobe
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Sono essenzialmente due gli ingredienti per realizzare un cover album che abbia significato: una scelta delle cover fantasiosa e stilisticamente variegata e un’interpretazione coraggiosa ma rispettosa delle versioni originarie. Poi, certo, chi si mette all’opera non dev’essere qualcuno che già sul materiale scritto di suo pugno zoppica o traccheggia nell’anonimato, altrimenti il disastro è assicurato. Gli Inter Arma, reduci da un trittico di album di altissimo livello e forti di un eclettismo pugnace, erano nella posizione ideale per portare a termine una release altrimenti interlocutoria, dandole qualche valido motivo per essere ascoltata. Giustappunto, anche alle prese con canzoni di altri, la classe dei ragazzi della Virginia salta fuori e ci mette pochissimo a manifestarsi.
In tracklist compare di tutto, tra omaggi ai grandi cantautori americani (Neil Young e Tom Petty), ai dioscuri dell’industrial (Ministry e Nine Inch Nails), idoli del pop (Prince), padrini del metal (Venom), leggende sotterranee dell’hardcore (Cro-Mags e Hüsker Dü). Il filo conduttore sta nella capacità di essere credibili sia quando c’è da immergersi nella melma e negli afrori del metal estremo più imponente, sia nel calarsi nel vasto panorama della musica americana, calda e accogliente, sensibile e introspettiva, che d’altronde pesa tantissimo nell’economia del sound del gruppo. L’esplorazione di pezzi altrui fa propendere per approcci dissimili a seconda delle situazioni, perché in alcuni casi la struttura originaria e gli arrangiamenti sono ricordati per qualche aspetto, e poi stravolti in un magma caotico di sludge, death e doom; altrove, l’aderenza ai concetti di partenza è quasi totale, con la sola impronta di voci, chitarre, ritmiche a marcare le distanze.
Le due anticipazioni offerte con settimane di anticipo esemplificano bene questo aspetto. “Southern Man” di Neil Young principia da un’acustica evocativa e un southern metal ossessivo ma ancora tendente all’hard rock, destinato a rompersi e contaminarsi da attacchi selvaggi senza più freni nella seconda parte; “Purple Rain” di Prince, invece, si mantiene morbida e suadente nella sua interezza, ben cantata e suonata dalla band, senza offrire però alcuna zampata che sappia solo e soltanto di Inter Arma. In questo secondo caso, qualcuno potrebbe rintracciare palesi limiti a tutta l’operazione, mentre per quanto ci riguarda anche una cover così ‘normale’ può avere il suo perchè, se l’interpretazione emana quel calore e quella genuinità che la band porta con sé quali valori fondanti. L’anima rock’n’roll verace e il senso della bella melodia, anche decontestualizzata dal metal, i musicisti di Richmond ce l’hanno nel DNA, ecco perché ad esempio diventa così irresistibile “Runnin Down A Dream”, country rock ipervitaminizzato senza alterare la melodia portante o lo scorrimento beato del refrain. Su un altro fronte, l’istintività del punk/hardcore non fa difetto e manda al tappeto su un’altra cover più di pancia che di rifinitura, come “Hard Times” dei Cro-Mags. Il meglio, però, ci pare arrivi dalle manomissioni controllate dell’industrial, forse perché già in partenza presentano una serie di contrasti e melodie stralunate che gli Inter Arma, in modi assai differenti, maneggiano nei loro album. “March Of The Pigs” potrebbe trovare il gradimento di un altrimenti suscettibilissimo Trent Reznor, lo stesso potremmo dire per Alan Jourgensen all’ascolto dell’opener “Scarecrow”, che nei suo mid-tempo asfittici e gorgoglianti è quella che va più vicina a tramutarsi a un ‘vero’ brano della band. “Garbers Days Revisited” raggiunge quindi i suoi scopi di omaggio intelligente e ponderato delle proprie influenze. Val la pena un ascolto anche per chi il gruppo lo conosce poco, non si sa mai che da una cover ben riuscita possa sbocciare l’interesse anche per il resto del già voluminoso catalogo…