6.0
- Band: INTER ARMA
- Durata: 00:45:46
- Disponibile dal: 10/10/2014
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
E’ cosa ormai risaputa che finiti i Mastodon nell mainstream più totale e apparentemente ormai del tutto irrecuperabili, i loro più degni successori siano i Georgiani e loro concittadini Inter Arma, combo di Atlanta anch’esso allevato da mamma Relapse, i quali, con il secondo tremendo album “Sky Burial”, hanno già ampiamente dimostrato di essere i maghi del “neo-technical sludge”. Sono infatti poche le band – ad eccezione forse dei folli Lesbian – capaci di fondere prog e sludge-doom in maniera così epica e sfrontata come fanno loro. Nella loro musica vivono sia gli Eyehategod che i King Crimson, sia gli Yob che i Pink Floyd, sia i Neurosis e i Melvins che i Led Zeppelin. In tutta questa magniloquenza heavy-prog i Nostri iniettano poi preziosimi e zampilli stilitici di ogni tipo e delle provenienze più disaprate: black metal – a formazione di un impianto stilitico finale definibile come “blackened sludge”, hard rock anfetaminico di chiara discendenza Thin Lizzy (ed ecco che torna facilissimo proprio per questo il paragone con i loro concittadini Mastodon) e persino innegabili influenze folk, basta guardare agli sparuti ma sempre costanti momenti dominati dal banjo e dalle chitarre acustiche che punteggiano la loro musica. La carne al fuoco nel sound di questa band insomma avrete già capito che è sempre tanta e che dunque a volte ci sia la tendenza dei Nostri a risultare pomposi e stucchevoli e a voler strafare. Poco male se ciò capita nell’ambito di forme-canzoni semplici in cui i momenti per respirare ci sono; anzi in quei casi gli Inter Arma – come visto nel colossale “Sky Burial” – riserbano momenti di metallo evoluto davvero gloriosi, ma se ci mettono di fronte ad una singola canzone (unica traccia di questo “The Cavern”) di ben quarantacinque minuti in cui provano a suonare di fila tutti gli stili che solitamente sono alla base della loro musica, senza sosta, senza un momento per respirare, capirete che la faccenda potenzialmente comincia a farsi pesante e molto complicata. E in fatti succede proprio questo: in questa traccia-odissea dalle proporzioni bibliche si passa dal doom, al blues, al prog, al folk, allo sludge, al black metal nel giro di secondi, in costanti gorghi di imprevidbilità e repentina e costante instabilità. Una parte del brano non fa in tempo a compiersi e prendere forma che i Nostri già l’hanno abbandonata e stanno suonando tutt’altro altro o sono finiti in tutt’altri ambiti stilistici lasciando l’ascoltatore in balia di veri e propri cambi di umore e totale lunaticità. La voglia di risultare epici e magniloquenti in questo caso viene portata alle sue estreme conseguenze e si trasforma in pomposità e auto-indulgenza stucchevoli e l’ascoltatore rimane marginalizzato, ridotto a mero spettatore dello show personale della band che si trastulla con la propria musica come in preda ad un raptus senza comunicare granché a chi è lì presente a cercare di capire i loro intenti. Certi esperimenti dovrebbero essere veramente ridotti al minimo e casomai studiati con maggiore considerazione di chi andrà poi a sentire il lavoro, altrimenti con opere così ambiziose spesso e volentieri si finisce per costruire un muro di presunzione tra la band e un’ascoltatore smarrito e incapace di seguire gli intenti di essa. Peccato, perchè ancora una volta il valore tecnico dei Nostri ed il loro carattere sono riapparsi in tutto il loro fragore, annegato però in un incontrollato impulso a voler strafare a tutti i costi.