4.5
- Band: INVICTUS
- Durata: 00:51:21
- Disponibile dal: 17/03/2003
- Etichetta:
- LMP
- Distributore: Self
Spotify:
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Davvero non si sentiva la mancanza di una band come questa, impegnata a ripercorrere gli stilemi già abusati da miriade di band intente a tentar fortuna dopo l’exploit della nuova ondata di power metal melodico. Come al solito la preparazione dei componenti è buona, la produzione è ottima (non a caso sono stati scritturati dal veterano Limb Schnoor), ma le idee purtroppo mancano. Fortunatamente non sono nefasti come i loro colleghi d’etichetta Galloglass, dato che il cd può sicuramente piacere a chi si nutre di un certo tipo di sonorità e risulta parecchio orecchiabile, ma non si può non notare la totale mancanza di originalità (e qui non intendo dire che un gruppo deve inventare qualcosa di nuovo per farsi apprezzare, ma evitare scopiazzamenti a destra e manca è davvero il minimo). Non a caso l’inizio del disco è affidato alla manieristica intro “Depression Part 1”, seguita a ruota dall’up tempo “Depression Part 2” e vi posso garantire che neanche dopo un minuto di ascolto saprete già come è costituito il pezzo. La seguente “Whispers” è un mid tempo poco ispirato con degli inserti di tastiera davvero fuori luogo che compromettono ancor più il risultato mediocre della composizione. “Redemption” è l’esempio tangibile della piattezza compositiva in cui le band dedite a questo genere sono naufragate, d’altronde i die hard fan avranno di che gioire, dato che tutti gli elementi per farli felici ci sono, ossia doppia cassa a go-go, una struttura del tipo strofa-ritornello-break-ritornello e tanta, tanta banalità. Con “Miracle” i toni si incupiscono e rallentano… qui si può notare qualche buona idea in fase di composizione, e il break di chitarra è quanto meno ben eseguito, anche se il ritornello risulta alquanto ridondante. “Burn 7” ci catapulta nuovamente nella banalità, up tempo condito da riff serrati e guastato da inserti di tastiera che purtroppo risultano inopportuni e slegati, e risultano il punto principale da rivedere se la band in futuro vorrà comporre un disco almeno accettabile. La rockeggiante “The Strongest” e la pseudo ballad “Since The Day” sono gli unici episodi che si salvano in questo lavoro immerso in un mare di banalità, e sotto sotto sono convinto che, se la band spendesse maggior impegno e idee senza andare per forza a rielaborare la formula che risultò vincente a qualche band europea, potremmo sentire ancora parlare di loro. In caso contrario, si prevede un oblio assoluto. Tutto (o quasi) da rifare.