7.5
- Band: IRON MAIDEN
- Durata: 01:20:53
- Disponibile dal: 03/09/2021
- Etichetta:
- Parlophone
- Distributore: Warner Bros
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Una carriera costellata di successi che non vuole certo interrompersi ora, nonostante la soglia dei quarant’anni di attività sia superata da tempo: ogni nuova pubblicazione che porta scritto il nome Iron Maiden deve per forza essere annoverata tra i veri e propri eventi all’interno della scena metal mondiale. E allora è con il cuore impavido e lo sguardo fiero che ci accingiamo all’ascolto del diciassettesimo studio album dell’heavy metal band inglese, intitolato “Senjutsu”.
Le acque sono rimaste calme per diverso tempo in casa Maiden e le voci circa un nuovo imminente disco – che fa seguito al precedente “The Book Of Souls” pubblicato nel 2015 – hanno cominciato a farsi vive solamente da qualche mese. La realtà è che questo lavoro è stato composto e registrato nel 2019 durante una pausa del “Legacy Of The Beast Tour”, sotto la solita guida del produttore di lunga data Kevin Shirley, co-prodotto da Steve Harris ai Guillaume Tell Studio di Parigi e successivamente tenuto chiuso segretamente in cassaforte fino ad oggi.
A primo impatto la lunghezza dei brani presenti in “Senjutsu” potrebbe spaventare, ma la sensazione all’ascolto è di trovarsi di fronte a composizioni sì articolate, ma comunque maggiormente fruibili rispetto a quelle contenute nel disco precedente. Il gruppo britannico riesce a ripescare le tradizionali sonorità ed atmosfere classic metal e NWOBHM, riviste certamente in chiave più moderna ed attuale – a dimostrare la chiara evoluzione sonora della band – con le chitarre del trio Dave Murray, Janick Gers e Adrian Smith pronte ad intrecciarsi con disinvoltura senza tecnicismi eccessivi, ma contribuendo a creare spesso atmosfere epiche ed orecchiabili. “Lost In A Lost World”, ad esempio, è un brano che si dilunga per oltre nove minuti, eppure lo fa in scioltezza attraverso sonorità eroiche e sognanti con un pathos in crescita, spinto dall’arpeggio iniziale fino ad esplodere poco più avanti in una cavalcata tipica della Vergine di Ferro. Esaltante la parte strumentale centrale, con le chitarre che tessono la loro tela accompagnate da tappeti di tastiera mai invadenti, prendendo per mano il pezzo fino al coro finale e riportandoci alle atmosfere del tanto amato “Brave New World”. Oppure basta ascoltare la malinconica “Darkest Hour”, composta dal duo Smith-Dickinson, durante la quale vengono esplorati lidi più introversi e progressivi anche grazie all’interpretazione teatrale di un Bruce altamente ispirato. Il cantante inglese è autore durante tutto il disco di una prova eccelsa, confermandosi ancora una volta artista di livello superiore, pur mostrando forse qualche minimo segno dell’età (e ci mancherebbe!).
Un paio di momenti più diretti li incontriamo prima con la più classica e roboante “Stratego”, potente e raffinata allo stesso tempo e ben bilanciata tra linee di basso intense e aperture chitarristiche mai esagerate, capaci di preparare la via ad un ritornello altamente accattivante e canticchiabile, e successivamente con la diretta, compatta ed affidabile “Days Of Future Past” che svolge il proprio compito con sicurezza grazie ai suoi riff decisi. Ma in questo lavoro i Maiden si distinguono dal loro passato (anche più recente) dimostrando di voler osare e valicando oltre le proprie barriere sonore: in primis aprendo il disco con la titletrack, un pezzo incisivo e quadrato che supera gli otto minuti, sviluppato su ritmi controllati spinti con decisione dal basso preciso e penetrante di Mister Harris e dal cantato espressivo di Dickinson. Ma ad andare ancor più fuori dagli schemi è senza dubbio il riff di stampo southern rock di “The Writing On The Wall”, sul quale si è già discusso in abbondanza, vista l’uscita del videoclip qualche settimana fa, e che avremmo visto bene all’interno di un disco solista di Bruce come “Accident Of Birth” o “Tyranny Of Souls”. Il coraggio di spingersi oltre da parte di questi musicisti, ormai ultrasessantenni, non può non essere apprezzato, visto che all’interno di “Senjutsu” questo brano trova la sua collocazione perfetta e cresce a dismisura ascolto dopo ascolto, mostrando un potenziale da assoluta hit. E poi che dire della parte finale dell’album dove i Maiden si lasciano andare con tre composizioni molto elaborate – tutte sopra i dieci minuti di durata – scritte in solitaria da Harris? “Death Of The Celts”, che molto ricorda il periodo Blaze Bayley ed il sound di dischi come “The X Factor” e “Virtual XI”, è costruita su lunghi passaggi strumentali e melodie vocali intense, ispirandosi alle sonorità più celtiche già incontrate in passato. Se con “The Parchment” la band si dilunga forse eccessivamente, perdendosi durante la prolissa parte centrale senza lasciare troppo il segno, ci pensa l’appassionante chiusura affidata a “Hell On Earth” a rimettere le cose a posto: un brano che si scalda all’istante e corre via che è un piacere, grazie ad una partenza ricca di emotività e passione che prosegue con chitarre armoniche che si muovono con disinvoltura, conducendo una strofa galoppante che porta ad un ritornello efficace ed in seguito ad un finale trascinante tutto da cantare.
I Maiden più diretti e metallici sono un ricordo; il loro modo di comporre si è evoluto e ciò è evidente più che mai in questo nuovo lavoro. Ma il desiderio di scrivere nuova musica è sincero, riconoscibile e ricco di passione travolgente. Il piacere di rimettersi in gioco ancora una volta e la qualità, che si conferma su livelli elevati, attestano quanto Harris e soci meritino il massimo rispetto e siano ancora oggi il riferimento per eccellenza all’interno della scena heavy metal. Ancora una volta, anche nel 2021.