9.0
- Band: IRON MAIDEN
- Durata: 00:44:14
- Disponibile dal: 11/04/1988
- Etichetta:
- EMI
- Distributore: EMI
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Pubblicato nel 1988, “Seventh Son Of A Seventh Son” rappresentò la naturale evoluzione di quelle sonorità progressive e sperimentazioni sviluppate nel precedente album “Somewhere In Time”. Registrato dal produttore Martin Birch ai Musicland Studios di Monaco, il disco è da considerarsi l’ultimo inciso dalla formazione storica prima dello split con Adrian Smith e racchiude in sé una magia, un sorta di aura quasi mistica che permea ogni secondo di ascolto e che difficilmente lascia indifferenti. Un massiccio uso delle chitarre synth e delle tastiere aiuta ad entrare nel mood di quello che resta ad oggi il primo ed unico concept-album della Vergine di Ferro, una storia pregna di mistero, magia e superstizione, dove Satana stesso (Moonchild) apparirà in una sorta di blasfema annunciazione ai genitori di un bimbo che si preannuncerà portatore di poteri e conoscenza, conteso dal Bene e dal Male in una lotta ultraterrena. Ad accoglierci é un Bruce Dickinson mai così evocativo ed ispirato, che canterà in apertura e chiusura di questa ‘fiaba’, come una sorta di maligno e mistico cantastorie, una ‘filastrocca’ entrata ormai nel DNA di ogni metalhead che si rispetti. Debuttando direttamente al primo posto della classifica inglese ed arrivando fino alla dodicesima posizione nella U.S. Chart, i Maiden collezionano una serie di canzoni davvero superlative, dove il massiccio uso di tastiere verrà enfatizzato per la prima volta dal vivo, grazie al fedele roadie/tastierista Michael Kenney, che apparirà sul palco truccato come una sorta di Fantasma dell’Opera, suonando le sue keyboards scenograficamente allestite come un enorme ed inquietante organo. La coppia Murray/Smith, qui per l’ultima volta soli e senza la presenza del ‘terzo incomodo’, palesa tutto il proprio talento ed affiatamento, esibendosi in assoli mai così tecnici, fluidi ed ispirati, fraseggi spesso all’unisono con il basso pulsante di Steve Harris e riff tra i più duri mai composti durante il regno Dickinson. La voce di Bruce Bruce é, in questo settimo studio-album, una vera e propria ‘presenza’ che aleggia sulla vita di questo ipotetico profeta, tanto il singer britannico sembri dentro al concept, incidendo delle linee vocali varie, difficili ed impegnative. La produzione enfatizza ogni strumento, dalla sciamanica prestazione della ‘sirena anti-aereo’ al basso di uno Steve Harris che non possiamo non visualizzare con il piede sul monitor, suonando il riff di “The Clairvoyant”, ottimamente supportato da un Nicko McBrain qui fautore di ritmi meno marziali ma più vari e strutturati, a palesare l’amore della band tutta per formazioni quali i Jethro Tull. Il successo incredibile di questo masterpiece garantì ai Maiden lo slot da headliner per il mitico Monsters Of Rock, chiudendo un’edizione che resterà tristemente famosa per il decesso di due ragazzi avvenuto durante il set dei Guns n’ Roses. Concludendo, un disco che resta una sorta di pietra miliare, posta a delimitare altresì un confine ed un sigillo per quella che é da considerarsi oggettivamente la seconda era dei Maiden, con un Derek Riggs che, dopo questa ennesima copertina-capolavoro, non si esprimerà più (quantomeno con i Maiden) in modo così ispirato ed evocativo.
«Seven deadly sins
Seven ways to win
Seven holy paths to Hell
And your trip begins
Seven downward slopes
Seven bloodies hopes
Seven are your burning fires
Seven your desires… ».