8.0
- Band: IRON MAIDEN
- Durata: 01:32:05
- Disponibile dal: 04/09/2015
- Etichetta:
- Parlophone
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Anche se i dati di vendita, tra debutti in prima posizione nelle chart e dischi d’oro, hanno mostrato un innegabile successo dell’ultimo “The Final Frontier” sia nel Regno Unito che all’estero, a mente fredda qualche piccola critica a quell’album era possibile muoverla. Lungi a nostro parere dall’essere un album ‘brutto’, e lungi anche dal contenere ‘brutte canzoni’ come si sente spesso dire in giro, Il lavoro degli Iron Maiden targato 2010 era forse un album un po’ sbilanciato. Non ci viene definizione migliore per descriverlo, dato che effettivamente il grosso delle critiche (tolte le – legittime – accuse di scarsa ispirazione e di svogliatezza) che gli vengono tutt’ora spesso mosse sembrano riguardare molto l’equilibrio sonoro del disco in sé, e il dosaggio con cui vengono in esso alternati momenti diretti a momenti più prolissi. Volendo ridurre il tutto a un’ipotetica leva ‘progressive vs heavy metal’, “The Final Frontier” risultava appunto sbilanciato verso uno dei due vertici, e questo ha provocato come ben sappiamo non pochi dubbi. Per sistemare una situazione di disequilibrio, che è sempre almeno potenzialmente pericolosa, ci sono due modi: o si spostano gli elementi presenti sul piatto più basso della bilancia verso l’altro, rinunciando a qualcosa di caro e tornando metaforicamente sui propri passi, oppure si carica il piatto più vuoto con nuovi elementi per cercare di pareggiare il peso. Una mossa pericolosa, la seconda, perché sovraccarica la struttura stessa su cui poggia la leva rischiando di spezzarla; ciononostante gli Iron Maiden per “The Book Of Souls” hanno scelto quest’ultima, e, lo diciamo subito, non c’è stato alcun crollo, al massimo qualche piccolo scricchiolio insignificante. Ma come hanno fatto, in termini meno metaforici, a ristabilire l’equilibrio che era stato turbato? La risposta ci è arrivata dopo ripetuti ascolti, ed è quella che ci sono riusciti recuperando la verve comunicativa di un tempo, e associandola alle strutture complesse e ai lunghi svolgimenti dell’ultimo album. “The Book Of Souls” è infatti vincente sotto diversi aspetti, che si riconducono tutti ad elementi che rendevano grandi i loro vecchi album. E’ tornata l’epicità e la solennità di “Seventh Son Of A Seventh Son”, e la ritroviamo tutta in momenti carichi di pathos come “If Eternity Should Fail” o la bella title-track. E’ tornato lo stile narrativo con un’introduzione, uno svolgimento, un cupo momento centrale e una sospirata risoluzione, elementi che trovavamo nello storyboard di “The Rime Of The Ancient Mariner”, e che qui sono riproposte nell’attesa suite “Empire Of The Clouds”. Abbiamo anche pezzi brevi che davvero sono diretti, e davvero colpiscono dove devono, come l’opener del secondo disco “Death Or Glory”. Insomma, gli Iron Maiden sono riusciti a riproporre gli stessi elementi spesso criticati nell’album precedente semplicemente… facendo i Maiden. Tutti quelli che abbiamo citato erano elementi già presenti nella loro trentennale carriera, avevano caratterizzato e segnato la fortuna di album nati e vissuti in periodi diversi, e qui sono stati recuperati e poi presentati a noi in una forma che rende suite talmente lunghe da fare invidia ai Dream Theater le belle, e funzionali, piccole gemme di heavy metal che tutti ci aspettiamo. La freschezza di “Brave New World”, l’epicità a tratti prolissa di “Seventh Son Of A Seventh Son” e la ricerca delle più belle canzoni di “Powerslave” e “Piece Of Mind”… gli Iron si sono ricordati di queste caratteristiche, e le hanno aggiunte, creando un castello musicale enorme, di quasi due ore e apparentemente inespugnabile, ma che a conti fatti, dopo diversi ascolti, risulta assolutamente meno caciarone, prolisso e tedioso di quanto ci fossimo aspettati. Certo qualche difetto nell’album lo troviamo, ad esempio continuano a convincerci poco sia “Speed Of Light” che “The Red And The Black” (anche se rispetto al nostro articolo track-by-track di quindici giorni fa con gli ascolti è un po’ cresciuta…), però dobbiamo ancora una volta levarci il cappello davanti a una band coraggiosa, che non rinnega niente di ciò che le piace adesso, e preferisce affrontare l’impegnativo cammino di forgiare la sua visione in un modo leggermente diverso. Come un guerriero che ha subito una sconfitta (ma lo sarà davvero stata?) ma invece che sfuggire la rivincita preferisce presentarsi all’incontro successivo con la stessa tattica e gli stessi sentimenti, solo meglio preparata e con armi migliori. Ancora una volta complimenti, per il fatto di riuscire a stupirci un’altra volta con un album che, onestamente, non ci saremmo mai aspettati.