7.5
- Band: ISAAK
- Durata: 42:43
- Disponibile dal: 06/02/2016
- Etichetta:
- Heavy Psych Sounds
- Small Stone Records
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Lo stoner rock metallizzato come una cadillac risplende in tutta la sua possenza in “Sermonize” dei nostrani Isaak, prima noti come Gandhi’s Gunn. Uscito qualche mese prima per Heavy Psych e uscito il 6 Febbraio per Small Stone Records, l’album riesce a portare al di fuori delle colonne d’Ercole il progetto fumante dei genovesi, giunti qui al secondo traguardo discografico a nome Isaak. La voce di Boeddu è ancora una volta la trasposizione del buon Brooks dei Torche, ma la validità dei floridiani viene ri-trasposta in “Sermonize” con la giuste dose di personalità e carattere. L’ironia caratteristica del progetto, così come era stato con “The Longer The Beard The Heavier The Sound”, è infatti uno dei punti forti del quartetto genovese, così come le sue chitarre taglienti e i suoi riff scuola desert rock che più volte ricadono positivamente su toni Red Fang, Baroness, Fu Manchu, per citarne alcuni. Il background dei Nostri è molto di più dei soliti nomi di cui si fa menzione e infatti la profondità di “Sermonize” tocca margini più ampi, dal metal più estremo al post-punk di certi primi Birthday Party. La capacità, inoltre, di sfornare brani diretti e ben confezionati come “Fountainhead” mostra come anche dal lato pratico e compositivo la maturazione degli Isaak sia avvenuta in piena regola e non possa più tenerli distanti dai nomi più importanti nella scena stoner emergente a livello europeo. L’incedere finale di “Soar” si apposta su alcuni toni più epici, ulteriormente arricchendo il panorama comunicativo di questo nuovo lavoro che, dopo i numerosi ascolti affrontati, possiamo considerare con uno sguardo più ampio, come lo stesso cerca di suggerirci. Con “Showdown” e il tributo simpatizzante per le chiusure kyussiane come “Yeah”, ritornano tutte le atmosfere di Palm Desert, della polvere, degli Orange e della sabbia bollente che suggella la pomposità dell’heavy psych. L’album, addirittura, non sembra perdere niente della potenza iniziale del primo lato, anzi, sembra addirittura accellerare e appesantire le dinamiche del quartetto per un finale con i controfiocchi. “Lucifer’s Road” sembra infatti un cambio passo mica da ridere, risultando uno dei punti più intriganti di “Sermonize”, strategicamente posizionato come una pedina da scacco matto nella tracklist del disco. L’ultima sezione del disco è infatti rappresentata da tre tracce al cardiopalma e una finale title-track da blues elettro-acustico dal sapore sabbathiano, che non fanno altro che consolidare la validità di questa proposta che predica sermoni in onore del dio dello stoner psichedelico e strafottente.