7.5
- Band: ISKANDR
- Durata: 00:43:11
- Disponibile dal: 29/09/2023
- Etichetta:
- Eisenwald Tonschmiede
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Il ritorno degli Iskandr è un disco sicuramente inatteso dal punto di vista prettamente musicale; si riconosce il tocco generale dei due olandesi, e si confermano la qualità e la ricercatezza del loro progetto, ma quelli che erano semplici indizi diventano qui sonorità centrali, mentre alcune componenti molto presenti in passato, in particolare quella ‘viking’, spariscono nel nulla – francamente, senza inficiare troppo il risultato finale.
Il cambio di pelle è evidente quasi dalle prime note, come se assistessimo in diretta alla mutazione della band: dopo una intro dal gusto quasi dungeon, subito si estremizza la componente marziale e oscura, creando un sound che è un mix di dark e neofolk, giusto talvolta mischiato con un intenso e zanzaroso tappeto di chitarre elettriche di matrice black, ma parliamo decisamente di lidi che ormai appartengono poco al metal tout court, se non dalle parti di certe produzioni di Tiamat, Sentenced o simile.
Come facilmente immaginabile da queste premesse, è sempre rilevante il ruolo delle tastiere, a volte semplice raddoppio delle chitarra, molto più spesso pronte a mettersi in primo piano con giri magniloquenti e tuttavia accattivanti, proprio come da tradizione goth, a cui spesso gli Iskandr sembrano guardare. Non perde di intensità il lavoro dietro il microfono di O., che offre tonalità particolarmente suadenti e profonde; su “Waterwolf” e “Nachtvorst” gli anni Ottanta si declinano persino sul versante new wave, con una malinconica punta di rimando agli Smiths nel primo caso, e un tocco dei primi Simple Minds (o dei Cure più pop, se preferite) nel secondo. Alcuni brani sono leggermente più brevi che in passato – con particolare senso nel caso del bucolico e suggestivo strumentale di “Interlude” – ma, come evidente, nel complesso non rinunciano a un approccio circolare e avvolgente, forse solo meno ‘ritualistico’ che in passato. L’ apice si tocca inevitabilmente su “Hof Der Valken”: con i suoi oltre undici minuti di pura ossessività, poteva durare serenamente tre minuti in meno, così come cinque o dieci in più: la sua potenza sta nel modo in cui entra sotto vena, non nella sua lunghezza.
Tirando le somme, se avete amato il precedente album per i brani in sè, è molto probabile che “Spiritus Sylvestris” vi lasci interdetti; se invece degli Iskandr vi aveva colpito la creatività e la capacità di far coesistere istanze musicali tra loro diverse, al tempo anche solo suggerita, potete procedere a colpo sicuro con l’acquisto.