7.5
- Band: ISOLE
- Durata: 00:46:10
- Disponibile dal: 10/03/2023
- Etichetta:
- Hammerheart Records
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Cedono quasi completamente al loro animo più doom e crepuscolare, gli Isole, per questo loro ottavo album “Anesidora”. I quattro svedesi hanno saputo imporre negli anni una propria personale visione del macrocosmo epic-doom metal, proiettandosi dagli esordi più vicini al viking metal a un metal intriso di epica nordica, mediamente plumbeo, sporcato qua e là di suggestioni care al gothic-doom e con qualche gradita incursione in territori vagamente estremi. Caratteristiche che non vengono ripudiate nel nuovo album, nel quale tuttavia la band pare volersi concedere ben poche divagazioni e allo stesso tempo si pone in una dimensione piuttosto riflessiva, lenta, priva di grosse variazioni a uno schema base abbastanza costante nel corso della tracklist. Se gli ultimi “The Calm Hunter” e “Dystopia” avevano denotato una certa vivacità compositiva, pur all’interno di un canovaccio consolidato, “Anesidora” ricama un passo doom lento e dai radi strappi, con la componente epica ad abbassarsi di tono, in favore di movimenti chitarristici densi, articolati e inclini a portarci verso stati d’animo dimessi.
Al centro della scena vi sono invariabilmente la vocalità da vichingo tristo e gentile di Daniel Bryntse e il mutevole muro di chitarre, un impasto severo, limaccioso, armonicamente arrotondato. In “Anesidora” alla forza si preferisce spesso un fraseggiare sottile, le melodie si srotolano in un misto di soavità, tristezza e abbandono, appoggiandosi a ritmi calmierati e per nulla invasivi. Non si tratta di una mutazione completa, quanto di un dedicarsi in modo più profondo ad alcuni aspetti del proprio suono invece che ad altri. Se in precedenza non era raro farsi scuotere da qualche andamento più ruvido e d’assalto, oppure essere intrappolati nelle torbidezze di un’azione strumentale a volte veramente vigorosa, con l’ultimo album c’è da sintonizzarsi su una specie di clima da ‘fiaba nera’. Proprio per assecondare quest’idea di racconto, con una flebile introduzione e un entrare nel vivo dell’azione che si accompagna a un relativo vivacizzarsi di ritmiche e chitarre, le tracce vanno l’una per l’altra in moderata progressione. Si parte quindi da abbrivi mormoranti e sospesi nella nebbia, a midtempo più ariosi e ritmati, con una serie di strofe e refrain abbastanza memorizzabili e una metrica del cantato quasi da cantastorie.
Tendente a un’uniformità un po’ pedante nei primi ascolti, quando ancora non si colgono tutti i dettagli, il disco guadagna punti nel tempo, svelandosi per essere un’opera molto curata e attenta, forse fin troppo cauta nell’aprirsi e nel donarsi a chi le si avvicina, ma per nulla avara di emozioni. Con la sua accentuata cupezza e gli inserti di hammond, spicca nella tracklist il macigno rappresentato da “Monotonic Scream”, come giustifica il suo ruolo di opener la trasognata tristezza emanata da “The Songs Of The Whales”. Le seconde voci, accordate alla pulizia esecutiva di Bryntse, portano l’epos della band verso una dimensione alta e intima, ripulendo di negatività i brani, pur lasciandoli macerare in una voluminosa malinconia. Ci mette un po’ a conquistare, poi “Anesidora” vince la battaglia sulle nostre incertezze per via di un songwriting che si rivela anche questa volta ricco di pathos ed emozionalità. Se si ama un certo doom fedele ai canoni classici, intriso di epica e di solitari afflati nordici, gli Isole restano una sicurezza.