7.5
- Band: JERRY CANTRELL
- Durata: 00:40:40
- Disponibile dal: 29/10/21
- Etichetta:
- Warner Bros
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Se i primi due dischi solisti di Cantrell erano prove quasi dovute dalla necessità (in termini di impossibilità di esprimersi con la main band, intendiamo) questa nuova uscita discografica, probabilmente, pende più dalla parte della volontà specifica. E questo è decisamente – e sensibilmente – intuibile dai toni di “Brighten”. “Ok, se gli Alice In Chains non sono invecchiati, io invece un po’ lo sono” sembra dirci Mr. Cantrell in questo nuovo, meditato terzo disco.
Durante il corso dell’ultimo anno, il co-fondatore degli Alice In Chains ha co-prodotto il suo nuovo disco solista con il compositore Tyler Bates (ultimamente al lavoro anche col Reverendo Manson, oltre che in molti film come “John Wick”) e Paul Fig (collaboratore di lunga data), e il tutto suona esattamente come ci si aspetta da un reduce del grunge, con qualche capello bianco – e non solo biondo – in più. “Brighten” riflette esattamente quel sound classico da camicia a quadri di flanella e, pur mancando quello spirito del tempo che ha reso il grunge quello che è stato, è sempre piacevole, tutto sommato, recuperare certe sonorità. Naturalmente sonorità che ci hanno fatto sognare, ribellarci e fuggire di casa in un bus da pochi dollari, seppur con una ben più mite attitudine.
Aiutato da una pletora di altri collaboratori, il nuovo disco di Cantrell, pur senza brillare per eccezionalità, funziona piuttosto bene. Tra le righe sono presenti Duff McKagan, Greg Puciato, che ha contribuito ai cori, e i batteristi Gil Sharone e Abe Laboriel Jr. (già con Paul McCartney), il maestro della pedal steel Michael Rozon , Vincent Jones al pianoforte, wurlitzer e organo, Jordan Lewis al pianoforte , Matias Ambrogi-Torres agli archi e Lola Bates ai cori aggiuntivi selezionati, mentre Joe Barresi (Tool, Queens of the Stone Age) si è invece occupato del missaggio. Una bella compagnia, dunque, e insieme a tutti questi girano i fantasmi di Cantrell, con cui però sembra aver fatto davvero pace. Le tonalità sono profondamente ammorbidite e il country-folk americano è lì, in tutto il suo semplice scintillio, proprio come se ci si trovasse di nuovo in uno di quei begli unplugged misteriosamente spariti dalle scene musico-televisive. Il tutto, però, meno maledetto e decisamente più solare: tamburelli, chitarre acustiche, pedal steel, pianoforti, hammond e la voce calda e lamentosa di Cantrell fanno infatti capolino in tutto il procedere di un disco che, probabilmente, non deluderà di certo quasi nessuno. Se infatti nessun riff da ricordare è presente (nonostante “Atone” sia uno dei pezzi che covavano da lungo tempo nel repertorio del biondo e, insieme alla titletrack, poteva certamente stare in un lavoro degli AIC) la placida tranquillità del disco sembra davvero sentita, e non solo di rito. La doppietta “Black Hearts And Evil Done” e “Siren Song” è infatti portavoce di questo discorso in tutta la sua funzionalità semplice e radiofonica, senza essere mai troppo banale o troppo scontata. Entrambi i brani, inoltre, offrono un sottile cambiamento di ritmo, rallentando le cose senza però perdere lo slancio dell’album, introducendone la seconda – altrettanto convincente – metà. “Goodbye” chiude il discorso: una cover di Sir Elthon John, tratta dal suo album “Madman Across the Water” che un po’ ripaga il contributo alla suadente “Black Gives Way To Blue” di quel bel disco di reunion che fu qualche anno fa.
Nove brani deliziosamente confezionati, pronti per farci riassaporare il buon Jerry Cantrell: un ascolto che scorre naturale, senza sforzi, e che rifluisce placidamente in tutte le sue curve e si seppellisce nel profondo dellatesta, un po’ alla volta. C’è un buon equilibrio nell’album, e questa atmosfera quasi ottimista, in generale, che rende il nuovo – ed invecchiato – Cantrell ancora una volta un cantautore a cui si deve dare credito. Anche dopo tutti questi anni.