8.0
- Band: JINJER
- Durata: 00:47:20
- Disponibile dal: 27/08/2021
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
“Don’t stop us now'” Sebbene la celebre canzone dei Queen sia ormai nella nostra testa appannaggio di “Shaun Of The Dead”, facciamo volentieri un’eccezione per i Jinjer, partiti anni fa dalla provincia di Donetsk (Ucraina) e giunti ora, tappa dopo tappa, a tour da headliner e posizioni sempre più interessanti nei festival. Certamente il fatto di trovarsi al posto giusto, con il djent a dare nuova linfa vitale al metalcore, e con la frontwoman giusta (più vicina a Sandra Nasic che ad Alissa White-Gluz) ha aiutato, ma di suo il quartetto ucraino ci ha messo un trittico di lavori diversi gli uni dagli altri, accomunati da un gusto per la sperimentazione (in un ricercato equilibrio tra cacofonia e melodia, ma mai fini a se stesse) ed un groove ritmico con pochi uguali nel pur affollato genere. Bloccati dalla pandemia a pochi mesi dall’avvio del tour di “Macro”, i quattro hanno riversato le proprie energie sulla lavorazione di “Wallflowers”, quarto album che conferma la maturazione verso un prog-core più ‘classico’ (niente stacchi reggae o jazz, per intenderci) ma non per questo meno efficace, anzi. Impressionante come sempre l’operato del bassista Eugene e dal batterista Vlad, co-protagonisti insieme al chitarrista Roman di un tessuto ritmico avvolgente a al tempo stesso esaltante, dove tutti gli strumenti si mettono in mostra in un lavoro di squadra senza necessitare di interminabili partiture soliste solitamente associate a un certo tipo di prog. Chi temeva che la popolarità portasse in dote un alleggerimento del sound o la comparsa dei temuti ritornelli strappamutande resti pure tranquillo: fin dal quel “Look at me!” che apre “Call Me A Symbol” l’aggressione sonora resta una costante, e anche la timbrica pulita di Tatiana è dosata con sapienza, contribuendo ad accrescere la varietà cromatica. Ancora più esemplificativa è la successiva “Colossus” – con i suoi blast beat la più violenta del lotto insieme all’attacco della conclusiva “Mediator”, il cui “stop’n’go” urlato in apertura promette di fare sfracelli dal vivo – mentre per sentire qualcosa di più morbido, oltre a qualche passaggio del primo singolo “Vortex” e alle atmosfere prog di “Pearls And Swine”, dobbiamo aspettare il crescendo emotivo della titletrack, con due minuti ambient (in cui abbiamo modo di apprezzare la timbrica pulita di Mrs. Shmailyuk, in attesa di un suo ipotetico progetto solista) prima di scatenare la furia. Tra le nostre preferite citiamo anche le più glamour “Disclosure!” e “Copycat”, a riprova di come Tatiana forse non sarà la regina del celebrità ma mangia comunque in testa al 90% delle colleghe; nel complesso, non c’è un singolo frangente sacrificabile nei tre quarti d’ora di “Wallflowers”, un lavoro estremamente compatto e al tempo stesso variegato. La classe del ’21 (Spiritbox, Employed To Serve, Hiraes…) è più che mai agguerrita, ma anche se manca ancora l’ultimo quadrimestre ipotechiamo un posto in prima fila nelle classifiche di fine anno per la formazione ucraina. Parafrasando Facchinetti senior, chi fermerà la musica dei Jinjer?