7.5
- Band: JOB FOR A COWBOY
- Durata: 00:40:29
- Disponibile dal: 10/04/2012
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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La solidità compositiva dei Job For A Cowboy è ormai lampante, tuttavia, paradossalmente, il gruppo statunitense rischia sul serio di passare in sordina e di non raggiungere quei livelli di approvazione che invece meriterebbe. D’altronde, i fan della prima ora dei Nostri, quelli affezionati all’EP d’esordio “Doom”, sono da tempo stati alienati dalla svolta death metal messa in atto con i full-length e non hanno più alcun interesse a seguirne le gesta, perchè ormai troppo lontane da quelle coordinate che realtà come Suicide Silence o Carnifex continuano invece a seguire più o meno fedelmente. D’altro canto, però, i cosiddetti death metaller insistono a guardare con sospetto o a ignorare del tutto l’operato dei ragazzi, vuoi per il loro passato (anche se ormai remoto), vuoi per il loro monicker, spesso giudicato ridicolo o comunque non abbastanza “trve” (come se invece nomi quali Torsofuck o Prostitute Disfigurement siano il massimo dell’impegno!). I Job For A Cowboy si trovano insomma in un limbo pericoloso, che potrebbe impedire a questo nuovo, egregio, “Demonocracy” di spiccare il volo. Un peccato, perchè i Nostri, rispetto a “Ruination”, sono ulteriormente migliorati: probabilmente grazie all’innesto del nuovo talentuoso bassista Nick Schendzielos (Cephalic Carnage) e del chitarrista Tony Sannicandro, il sound della band è diventato più scorrevole e invitante. Le trame hanno da un lato incorporato maggiore atmosfera (vedi la parte centrale dell’ottima “Children Of Deceit” o “Tarnished Gluttony”), mentre dall’altro hanno preso una piega più compatta e memorizzabile (“Nourishment Through Bloodshed” o “Tongueless And Bound”, fra le altre), senza però mai scordarsi di spezzare il tutto con numerosi assoli, tecnicismi e avvitamenti che incuriosiranno gli amanti di chitarra e basso (quest’ultimo mai così in evidenza prima d’ora). Tutto sommato, si respira un’aria un po’ più vicina alla cosiddetta “vecchia scuola” in questa nuova opera, il cui fine sembra essere quello di trovare un giusto compromesso fra cattiveria e finezza. Superfluo quindi sottolineare come di ‘-core’ qui non vi sia alcuna traccia: tanto per mettere le cose definitivamente in chiaro, una band come i Job For A Cowboy di oggi potrebbe tranquillamente far parte di un tour come quello avvenuto di recente con protagonisti Obscura, Spawn Of Possession e Gorod. L’unica perplessità sorge nell’esaminare la produzione, forse sin troppo pulita: con delle chitarre più spesse e crude il lavoro avrebbe guadagnato ulteriore tiro e magari sarebbe riuscito a seppellire una volta per tutte quei dubbi che ancora aleggiano sulle teste di certi “integralisti”. A parte questo, poco o nulla si può rimproverare al quintetto, che ci ha nuovamente consegnato un disco molto curato e ricco di spunti. È un piacere assaporarlo con calma.