7.5
- Band: JOB FOR A COWBOY
- Durata: 00:40:31
- Disponibile dal: 03/07/2009
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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Con lo stesso numero di riff contenuto nell’intero ultimo album dei Suicide Silence, i Job For A Cowboy di oggi ci costruirebbero all’incirca tre canzoni. Tutto questo per mettere subito in chiaro una cosa: se pensavate che i Job For A Cowboy fossero un fenomeno passeggero o ancora la cosiddetta “MySpace band”, che “Genesis” fosse un fuoco di paglia o che il gruppo statunitense sarebbe tornato al più popolare death-core degli inizi dopo aver giocato per un po’ con il death metal, vi stavate sbagliando. Perchè anche se di certo non ci stiamo trovando di fronte a un fenomeno dello stesso calibro dei Decrepit Birth o di gente simile, la band capitanata dal frontman Jonny Davy a oggi merita più che mai la considerazione di tutti coloro che di norma nutrono le loro orecchie con cospicue dosi di death metal moderno. La storia ormai la conoscono tutti: i Job For A Cowboy hanno dato il via al trend death-core con il celebre EP “Doom”. Poi, all’appuntamento con il debut album, hanno virato verso un death metal più veloce e tagliente, che ha sì un po’ alienato i fan della prima ora, ma fatto guadagnare ai nostri rispetto e credibilità nella vera scena extreme/death metal. Ora, con “Ruination”, la band è assolutamente pronta a consolidare il suddetto status, dato che i tour assieme a realtà come Behemoth o Hate Eternal e una ulteriore maturazione a livello tecnico e creativo l’hanno trasformata in un gruppo ancora più competitivo. Se infatti si paragonano i comunque piacevoli brani degli esordi con quelli “Ruination”, sembra infatti di trovarsi al cospetto di un’altra band: oggi i JFAC (di recente raggiunti dal nuovo chitarrista Al Glassman, ex Goratory e Despised Icon) sono diventati un gruppo di death metal tecnico e frenetico che in più di una circostanza sembra quasi un incrocio tra Psycroptic e Cattle Decapitation. Materiale quindi articolato e spesso molto veloce, dove il cambio di tempo o break e contro-break sono sempre dietro l’angolo. Una frenesia che, a dire il vero, nella seconda parte del CD non sempre si rivela completamente funzionale, visto che un paio di tracce finiscono per risultare un po’ troppo simili fra loro, tuttavia, essendo il minutaggio quasi sempre abbastanza contenuto, non si può affatto dire che questi passaggi facciano in tempo a venire a noia. Particolare, inoltre, l’atmosfera del lavoro: decisamente cupa, malsana, se non apocalittica. Del resto, basta dare uno sguardo ai titoli per capire di che cosa i nostri stiano parlando… sembra quasi di avere a che fare coi fratellini dei Misery Index! In sintesi, se non fosse per la leccatissima produzione di Jason Suecof (Devildriver, The Black Dahlia Murder, Trivium…) e per la solita mastodontica campagna promozionale allestita dalla Metal Blade, “Ruination” potrebbe venire tranquillamente spacciato come un disco di una delle varie promesse della scuderia della Willowtip o della Unique Leader Records, tanto il sound di cui è alfiere risulta ben poco “mainstream”. Poi è ovvio che se un gruppo estremo come i Behemoth di recente è comunque riuscito ad andare all’Ozzfest e su MTV, allora è più che probabile che anche ai JFAC tocchi la stessa sorte. Ma, oggi più che mai, attenzione a considerare “la band con il nome strano” come una specie di scherzo: la realtà dei fatti – ascoltate brani come “Summon The Hounds”, “Constitutional Masturbation” o “Regurgitated Disinformation” – è ben diversa…