8.0
- Band: JOB FOR A COWBOY
- Durata: 00:46:41
- Disponibile dal: 14/11/2014
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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Che si sprechino parole per ricordare a tutti quanti nei dettagli la storia nemmeno così vecchia dei Job For A Cowboy è fin troppo inutile e banale. Archiviata ormai da tempo l’esplosione su MySpace di ormai un decennio fa, i dischi pubblicati da allora bastano e avanzano per chiarire un concetto: la band di Jonny Davy, che lo si voglia o no, rappresenta una delle realtà più mutevoli e progressive del death metal moderno. Partendo dal death-core di “Doom”, per passare alla grande svolta death metal di “Genesis” e soprattutto “Ruination”, andando a parare sulle strade più cupe e tortuose dell’ultimo “Demonocracy”, il quintetto statunitense col passare degli anni è diventato una band completamente diversa rispetto a quella che esordì ufficialmente nel 2005. Non è quindi qualcosa di inaspettato che il nuovo “Sun Eater” risulti addirittura l’album più intimo dei Job For A Cowboy: un disco che riesce a raggiungere una leggerezza ed una eleganza che anche solo due o tre anni fa sembravano completamente estranee all’indole della formazione. Parliamoci chiaro, i Nostri sono ancora il gruppo che ha inciso “Demonocracy”, ma la nuova opera si rivela un manifesto rifiuto della pomposa frenesia e dell’epicità barocca di taluni episodi passati. Che i Job For A Cowboy avessero nelle proprie corde spiccate velleità techno-death era cosa ormai nota, ma queste a volte davano mostra di sè in brani rapidi e contorti, a tratti difficili da memorizzare. “Sun Eater”, invece, incanala questo approccio tecnico in composizioni più lente e diluite, costruite su riff un po’ più lunghi, un grandissimo lavoro di basso (posto giustamente sempre in evidenza) e una vena melodica che evoca paesaggi fantasmagorici. L’innovazione è appunto sempre stato l’obiettivo primario del gruppo americano, che ha sovente preferito rimescolare le carte in gioco, miscelare il tutto al meglio e servire sul piatto musica curata e diversa da quanto fatto in precedenza e il nuovo materiale nè è definitiva conferma. L’album sposa il sound degli ultimi lavori – in particolare quello di un pezzo come “Tarnished Gluttony” – con una forte influenza di realtà come Cynic, Obscura e tutto quello che potreste associare a questi nomi. La doppietta iniziale composta da “Eating The Visions Of God” e “Sun of Nihility” mette subito in chiaro le cose: questo è forse il punto più alto, in termini di raffinatezza, raggiunto sinora dal quintetto, ma è l’intera tracklist a dimostrarsi articolata eppure stabile, pensata dall’inizio alla fine con coerenza artistica e compositiva. Avere un talento come Nick Schendzielos (Cephalic Carnage) al basso ha certamente messo il gruppo nelle condizioni di osare ciò che sino a qualche tempo fa era quasi impensabile, ma bisogna riconoscere che anche i chitarristi Tony Sannicandro e Al Glassman hanno fatto passi da gigante per mettersi in pari: le canzoni dei Nostri di rado in passato erano apparse così fluide e al contempo ricche di elementi. Ne è insomma uscito un album con un numero limitato di pezzi ma limato con intelligenza: no filler, no autocitazioni, no pseudo-esperimenti fuori dal coro. A “Sun Eater” tutto sommato non manca niente: è un disco conciso e concreto, godibile dall’inizio alla fine; l’ennesima bella risposta a chi da sempre vede questi ragazzi come un vuoto fenomeno passeggero.