9.0
- Band: JOHN CARPENTER
- Durata: 00:42:35
- Disponibile dal: 20/10/2017
- Etichetta:
- Sacred Bones Records
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Se la parola genio è spesso usata fuori luogo, non è sicuramente questo il caso: John Carpenter è un regista che ha segnato l’immaginario di almeno due generazioni, e che per le tematiche toccate ha sicuramente un posto di rilievo, in particolare, nel cuore di noi metallari. L’orrore nascosto dietro i meandri della mente, nell’inspiegabile e nell’ignoto al di fuori di noi, il diverso come anti-eroe, … tutte tematiche in cui, in qualche modo, ci riconosciamo anche per quanto riguarda molte delle band di cui parliamo normalmente su questo portale. Giusto quindi dedicare un’analisi a chi, negli anni, si è rivelato anche un rilevante musicista; come noto, infatti, tranne in pochi casi, Carpenter si è anche sempre occupato di firmare le colonne sonore dei propri lavori, ponendosi peraltro come un discreto precursore nell’uso del sintetizzatore: parliamo in alcuni casi di registrazioni che risalgono ai primi anni Settanta, e anche questo tassello, dunque, si aggiunge con potenza a disegnare il ritratto di un artista eccezionale. Con questa raccolta, che vede la partecipazione anche di suo figlio Cory e del chitarrista Daniel Davies, vengono finalmente offerti al pubblico almeno i temi principali di tredici dei suoi film più famosi – quindici nell’edizione in vinile – senza doversi per forza svenare a cercare le colonne sonore intere originali, e il risultato è un disco che farà la gioia dei palati più raffinati, ma che si farà apprezzare da tutti, e specialmente dagli over 35. Se infatti aspettavate con ansia le serate horror in televisione, qui i classici da brividi ci sono tutti, dal synth rock di “In The Mouth Of Madness”, passando per il minimalismo à la Nyman di “The Fog”, fino all’iconico e ancora spaventoso tema portante di “Halloween”, con tanti saluti ai remake di Rob Zombie. Ma colgono nel segno anche i titoli meno noti, soprattutto la struggente traccia scritta per l’esordio “Darkstar”, e non mancano di far sorridere con nostalgia il funkeggiante tema di “Big Trouble In Little China”, o lo strip-club evocato dal duetto per piano e chitarra di “They Live”. Citazione d’onore per “The Thing”, eseguita comunque dal terzetto di cui sopra ma composta da Ennio Morricone, e chiusura d’onore affidata a “Christine”, un brano che decostruisce certe derive new wave in chiave quasi ambient, a dimostrazione della versalità del Maestro. L’unica pecca? La difficoltà di non passare i giorni a seguire a rivedere per intero la sua straordinaria filmografia.