7.0
- Band: JOHN GARCIA
- Durata: 00:40:36
- Disponibile dal: 04/01/2019
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
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Era un John Garcia un po’ stanco e di maniera quello che abbiamo avuto modo di ascoltare nel nuovo millennio, tra Hermano, Vista Chino e i primi due album solisti; questo nuovo lavoro colpisce invece favorevolmente fin dal primo ascolto, per come Garcia riesce a riportarci alla mente tanto i fasti dell’era Kyuss, quanto l’approccio lisergico gli ottimi anni degli Unida, senza per questo diventare la caricatura di se stesso – come a essere onesti accadeva in alcune rivisitazioni del recente “The Coyote Who Spoke In Tongues”. Accompagnato invece a questa Band Of Gold che dà il titolo anche all’album, John Garcia si affida alla buona capacità compositiva del chitarrista Ehren Groban, al basso raschiante di Mike Pygmie (musicisti che orbitano intorno agli ex Kyuss da parecchi anni), così come al talentuoso Greg Saenz dietro le pelli e, semplicemente, torna a fare il rocker nella forma che meglio gli riesce. Funzionano bene i momenti dilatati e orientati al deserto, come reso chiaro dalla strumentale “Space Vato”, posta in apertura come chiaro manifesto di intenti, ma la spina dorsale di questo album sono senza dubbio le tracce in cui l’acceleratore spinge, più che sulla velocità, su un groove ottimo e accattivante di gusto settantiano. In particolare nella bella doppietta “Chicken Delight” e “Kentucky II”, ma anche dalle parti di “Apache Juncion”; questa è un perfetto monolite per chitarra e bong, completato dal finale acido perfetto per aprire le danze alle seguenti “Don’t Even Think About It” e “Cheyletiella”: una sorta di ritorno a Sky Valley in forma più concreta, tra chitarre circolari, due riff di granito e il sottotesto potente dell’iconica psichedelia di quel capolavoro. Anche i brani più ritmati mostrano un bello spettro dell’era che fu, a cavallo tra Palm Desert negli anni Novanta e quelle eterne radici garage che sono nelle corde di John; il cui cantato, pur coi limiti dell’età, sa essere nuovamente graffiante e caldo: ne sono esempio “Jim’s Whiskers”, oppure le muscolose love songs “My Everything” e “Lillianna”, quest’ultima sicuramente fra gli highlight del lavoro, nel suo efficace equilibrio tra espressività vocale e la rocciosa sezione ritmica. Nel finale Garcia e soci scelgono di accomiatarsi con la vibrante e sensuale “Softer Side”; una sintesi e un passo avanti al tempo stesso rispetto alle precedenti tracce, che riesce a riportarci alla mente il sodalizio tra la sua ugola e le trame di Josh Homme senza renderci nostalgici, lasciandoci anzi fiduciosi di avere davanti l’avvio di una seconda giovinezza per il vecchio coyote dei deserto.