7.0
- Band: JOHN GARCIA
- Durata: 45:00
- Disponibile dal: 25/07/2014
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
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“My Mind”, singolone di presentazione, catapulta automaticamente l’ascoltatore in medias res. Riff e John Garcia, dopo il mezzo passo falso dell’album dei Vista Chino, soprattutto da quando la stessa formazione aveva abituato l’audience a ripercorrere le prodezze di gusto stoner dei mitici Kyuss. Con gli Unida aveva sopreso positivamente anche nelle ultime uscite live e la sua silhouette non può che celarsi dietro ogni grande disco che si possa definire desertico. Voce indimenticabile e inimitabile: eccola dunque a reggere il gioco per un intero album, maateriale composto nel corso degli anni e tenuto in sordina. Special guests sono Robby Krieger, Danko Jones, Nick Oliveri, Tom Brayton dei The Dwarves, Dave Angstrom e Mark Diamond che arricchiscono con le collaborazioni tutto il percorso dell’album, dandogli un aspetto a mo’ di best of. Numerose le collaborazioni, numerose le influenze, ma la coesione è proprio la sua voce. Ed è giusto in questo senso che sulla copertina ci sia scritto solo un nome: JOHN GARCIA. Caprone e deserto. “Rolling Stone” dei canadesi Black Mastiff viene riproposta come secondo pezzo dell’album. Molto più Unida che Slo-Burn. Catchy e piena di groove. Ottima per le gite a Palm Desert. Quella strada che si intravede in copertina è infatti la direzione che Garcia intraprende e che ogni fan vuole percorrere accompagnato dalla sua ugola. Per sentire un emblema vero e proprio del progetto solista del Re Mida dello Stoner bisogna aspettare però “5000 miles”. Hermano, Unida e Vista Chino si fondono e costuiscono la summa del pur vario disco solista dei Garcia.”Confusion” invece è composta da Chitarra distorta e voce. Ha uno strano effetto. Ed è sinceramente quello che un fan di Garcia vuole sentire, immaginandoselo di fronte ad un crossroad messicano come i vecchi bluesman leggendari.”Flower” è il fiore del deserto e il crooning di Garcia ne è il nettare, sporcato da un fuzz impolverato. “Argleben” ha quelle chitarre sporche e grasse che pian piano rallentano il tempo del brano permettendoci di ricordare, seppur lontanamente, i cambi di tempo dei Kyuss. “His Bullet Energy” ricorda i lavori dell’ex compagno Josh Homme. Dipartito e distante. Anche se i Vista Chino sono comunque sempre presenti come paradigma principale, tant’è vero che “Peace” è stato registrato nei medesimi studi di quest’ultimo. Il germe compositivo è quasi il medesimo, nonostante la mancanza di Brant Bjork, da sempre songwriter par exellence. La controparte femminina della canzone è arricchita dalla chitarra del buon vecchio Robby Krieger e posta all’ultimo posto dell’album, da trip desertico. Molta carne al fuoco senza dubbio. Chi può e vuole si prostri pure al cospetto di uno dei personaggi simbolo di un genere musicale. Chi è rimasto a “Sky Valley” forse storcerà un po’ il naso. Ma non potrà negare che John Garcia è sempre John Garcia. E il deserto è sempre lì con lui.