7.5
- Band: JONATHAN HULTÉN
- Durata: 42:20
- Disponibile dal: 13/03/2020
- Etichetta:
- Kscope Music
- Distributore: Audioglobe
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Avevamo già avuto modo di assaporare l’anteprima di “The Mountain”, singolo apripista di questo “Chants From Another Place” del chitarrista dei Tribulation, e le sensazioni erano quelle che subito iniettano grandi aspettative. E sembra quasi naturale che da territori prettamente metal, oggi, ci si dia al side-project acustico e cantautorale; Me And That Man del belloccio Nergal senza facepainting non è certo l’eccezione. Ma, ad ogni modo, per ora i prodotti sembrano tutti degni di apprezzamento e carichi di un certo fascino intimo, mostrando probabilmente una faccia che i main act avevano già ma non erano riusciti a sviluppare in questi termini. Il debut di Hultén è di certo da considerarsi tra questi fortunati esempi, pur con le sue pecche, che gli impediscono di decollare alla grande come, forse, avrebbe potuto.
Il tono è dunque quello del falò da bosco svedese, attorno al quale ci si trova talvolta – aggiungiamo subito un ‘purtroppo’ – con quell’aria da folkman gagliardi americani, con un retaggio, però, che dovrebbe essere da Edda norrena più che da canzoni da campfire dei patrioti sudisti. Pezzi come “Next Big Day” (strade già intraprese dalla compagnia di Hexvessel e soci silvestri quando giocavano a fare i The Doors nel loro disco – non a caso – meno autentico) non sembrano certo mere trovate cool per far vedere che “metal sì, va bene, ma anche basta”, ma neanche sembrano integrarsi perfettamente in un’osmosi piena col resto del progetto e, probabilmente, di una certa sua sensibilità. Hultén non arriva di certo ai toni di Ben Harper, ma qui ci prova eccome, certamente recuperando anche certi passaggi di “Anguished Are The Young” del primo EP. Toni invece più cupi, e forse più vicini alla sensibilità dello svedese, sono quelli di “The Call To Adventure” o quelle sortite più psichedeliche come “Outskirts”, o ancora più legati al sound del mastermind Steven Wilson (siamo sempre in Kscope, dopotutto) come nella prima “A Dance In The Road” o nella suadente “Wasteland”, offerta come secondo singolo del disco. Il tono da canto evocativo riscopre le sue tonalità più sacrali e viscerali in momenti come l’a cappella di “Ostbjorka Brudlat”, brillantemente seguita da “The Roses”, dove forse si ha una delle situazioni folk più miscelate di questo progetto solista, e anche delle più riuscite. In territori come questo la bellezza del disco sembra inequivocabilmente autentica, e ci sembra un peccato non si sia rimasti proprio su questi binari di sound e intenzioni, senza orinare fuori dal vaso (perdonateci il francesismo). Vedi certe sortite più di posa che di necessità come “The Fleeting World”, messa lì un po’ per piacere estetico che per reale necessità di divagare, cambiare timbro, o far prendere una pausa all’ascolto e alla narrativa del disco.
Certamente “Chants From Another Place” è un disco che si lascia ascoltare, che fa di tutto per piacere, e che ci riesce quasi sicuramente, ma è anche vero che i timbri così altalenanti non sempre sono l’arma vincente per un album semi-acustico che, anche se non vuole inquadrarsi necessariamente come side-project di una band come i Tribulation, ne risente comunque la correlazione. Là dove vorrebbe invece completamente sdoganarsi da questo, beh, c’è già David Sylvian, e una carovana di altri songwriter che da molti anni cercano di trovare la canzone acustica perfetta. Nei territori più legati a certi pregiudizi critici o considerazioni come quelle sopra, effettivamente, il lavoro di Hultén rappresenta davvero un buon disco; laddove, invece, si cerca di esulare – vuoi per grazia e libertà artistiche o per ben più presuntuose mire – a dire dell’altro allora si rischia un po’ di cadere nel grave peccato di non aver reso eccezionale quella che avrebbe potuto essere una perfetta e coesa uscita discografica. Tradotto: ridimensionato giusto in quel paio di pezzi troppo altisonanti (e si può provare a farlo nella propria playlist d’ascolto) questo potrebbe davvero essere un discone di cuore folk svedese con la produzione di un signorotto del prog inglese. Menzione speciale per l’immaginario e i disegni dello stesso Hultén, quelli assolutamente in linea con il cuore del discorso.