6.5
- Band: JORN
- Durata: 01:05:52
- Disponibile dal: 02/06/2017
- Etichetta:
- Frontiers
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Che Jorn Lande sia uno dei cantanti più talentuosi e dotati sulle scene è indubbio: chi vi scrive scoprì la meravigliosa voce del norvegese nell’ormai lontano 2001, all’epoca della pubblicazione di quel gioiello che risponde al nome di “Burn The Sun” degli Ark. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti e l’artista ha regalato ai suoi estimatori una lista lunghissima di opere, alcune eccellenti (dai Masterplan, fino alla più recente collaborazione con Trond Holter), altre, purtroppo, non all’altezza del suo potenziale. Tra queste ultime, ahimè, dobbiamo includere anche diversi capitoli della sua carriera solista, una produzione fittissima di tredici album in diciassette anni, che però ha spesso mostrato il fianco, non tanto da un punto di vista esecutivo, sempre ineccepibile, quanto piuttosto in fase di scrittura. Lande, infatti, è principalmente un interprete, un magnifico interprete, quindi ha bisogno di essere affiancato da autori di classe, che possano valorizzare il suo stile. Questo non è sempre successo nella sua carriera solista, nonostante l’ineccepibile confezione formale e l’innegabile abilità tecnica profusa dai professionisti di volta in volta coinvolti. Questo nuovo album vede una rinnovata line-up ad accompagnare il cantante ed un notevole impegno da parte della Frontiers Records per dargli il massimo supporto: oltre al tastierista Alessandro Del Vecchio, che ha già collaborato con Jorn per il precedente album di cover, troviamo praticamente mezza formazione dei Primal Fear, con Matt Sinner al basso, Alex Beyrodt alla chitarra e Francesco Jovino alla batteria. Ci piacerebbe poter dire che questo avvicendamento abbia fatto fare il salto di qualità alla carriera solista di Jorn, ma sfortunatamente non è così: “Life On Death Road” è un album piacevole, non c’è che dire, ma ben lontano dall’essere un capolavoro. Le dodici composizioni contenute portano avanti il classico stile di Jorn degli ultimi album, un heavy rock d’annata, fatto di midtempo rocciosi, qualche bordata più veloce, una buona dose di melodia e, ovviamente, il cantato di Lande in primo piano. L’album si aggira intorno ai sessantacinque minuti di durata e questo lo penalizza un po’, perché una struttura più snella avrebbe reso più fresco il risultato finale. Non mancano episodi di buona fattura, come l’articolata titletrack posta in apertura, “Love Is The Remedy”, “Fire To The Sun”, “The Slippery Slope (Hangman’s Rope)” e “Man Of The 80’s”: in generale, ci sembra che l’album funzioni di più quando i musicisti schiacciano sull’acceleratore, optando per le melodie più immediate ed efficaci, mentre sui brani più cadenzati la qualità del songwriting cala in maniera sensibile. Insomma, non ci troviamo di fronte ad un disastro, né al capitolo più debole della discografia di Jorn, tuttavia non vediamo l’ora di poter riascoltare ancora una volta questa splendida voce alle prese con quei brani davvero eccezionali che in “Life On Death Road” purtroppo mancano.