6.5
- Band: JOURS PALES
- Durata: 00:50:17
- Disponibile dal: 26/02/2021
- Etichetta:
- Les Acteurs De L'Ombre Productions
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Spellbound è un’artista ben conosciuto nella scena francese, la mente che sta dietro a numerosi progetti, tra cui spiccano Aorlhac e Asphodèle; la sua nuova band nasce proprio dalle ceneri di questi ultimi, che hanno composto un solo album nel 2019, intitolato proprio “Jours Pâles”, prima dello scioglimento improvviso. Circondato da validi musicisti con esperienze importanti (Shining, Uada tra gli altri) e anche da parecchi ospiti, il vocalist/tastierista transalpino ha composto praticamente di getto questo “Éclosion” ed è evidente la voglia di continuità con l’esperienza appena terminata. Oltre alla scelta del moniker, infatti, i legami con il passato sono parecchi e la proposta è sempre quella di un black metal con un debole per i suoni malinconici. Se è vero che ci sono dei punti in comune, però, lo è altrettanto che ci sono delle differenze: negli Asphodèle la componente melodica era molto marcata e si poteva parlare di una sorta di blackgaze, mentre qui sono frequenti i momenti più duri, forse più a livello di atmosfere che nel concreto, tanto che è difficile parlare di black in senso stretto: in “Éclosion”, infatti, c’è un po’ di tutto, dall’heavy metal tradizionale al rock vero e proprio, dal dark/gothic al doom, e in tutto ciò il minimo comune denominatore è un alone di inquietudine che ammanta tutti i brani. Molto articolato il lavoro delle chitarre, con le canzoni che sono spesso costruite su un riffing a volte aggressivo e tagliente ed altre più controllato: l’attacco dell’iniziale “Illunés” è vicino all’hard rock, altrove si odono addirittura echi di band diversissime tra loro come Iron Maiden e Kvelertak, e sono presenti anche molti arpeggi delicati e atmosfere alcestiane, come in “Le Chant Du Cygne”, o dal gusto ambient come nella conclusiva “C2H6O”; le vocals sono in uno screaming non molto feroce, alternato a voci pulite, talvolta spoken. La carne al fuoco è veramente tanta, ogni tanto però c’è anche confusione: in particolare, mentre le parti più tirate sembrano essere anche le meglio riuscite, quelle per così dire più soft paiono inserite di peso, quasi come se non fossero esattamente nelle corde di chi le ha composte. Certo, il risultato è positivo, e forse nell’ascolto pesa l’inevitabile confronto con ciò che è stato fatto in precedenza: da questo punto di vista, qualcosa sembra andato perso nella transizione.