
9.5
- Band: JUDAS PRIEST
- Durata: 00:39:12
- Disponibile dal: 23/03/1976
- Etichetta:
- Gull Records
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La pubblicazione di “Rocka Rolla” ha aperto delle buone opportunità per i Judas Priest, sebbene l’album non possa considerarsi ancora un successo. La Gull Records non ha grandi mezzi, ma recentemente è riuscita a piazzare un primo posto in classifica con un duo, i Typically Tropical, composto fondamentalmente da due ingegneri del suono. L’etichetta, quindi, decide di affidare a loro – una scelta quantomeno inusuale – la produzione del nuovo album dei Priest. La band, però, ancora scottata dal trattamento riservato al loro debutto, non ha più intenzione di farsi mettere da parte e, seppure con qualche compromesso, riesce ad avere molta più voce in capitolo in queste nuove registrazioni, tenutesi nel gennaio del 1976 ai Morgan Studios.
“Sad Wings Of Destiny” vede la luce due mesi dopo e fin da subito appare evidente come la crescita della band in un breve lasso di tempo sia enorme: tutti gli eventuali errori o le ingenuità presenti su “Rocka Rolla” vengono letteralmente spazzati via e, per quanto lo stile dei Judas Priest non sia ancora quello definitivo e più iconico, certamente è possibile trovare tra i solchi dell’album tutto ciò che di lì a poco renderà la band una leggenda vivente. La proposta si fa più oscura, proprio come la copertina, ben diversa dall’innocua bottiglia di cola presentata col primo album. Il disco si apre in maniera magistrale con “Victim Of Changes”, a parere di chi vi scrive uno dei vertici dell’intera produzione priestiana: la canzone raccoglie l’eredità di una vecchia composizione esclusa da “Rocka Rolla”, intitolata “Whiskey Woman”, e la trasforma in una composizione per certi versi progressive, ma con un’energia ed un’atmosfera degna dei migliori Black Sabbath. Si prosegue con un altro classico, “The Ripper”, sinistra e minacciosa nel suo raccontare le gesta nefaste di Jack Lo Squartatore, per poi passare invece ad una composizione sognante ed eterea come “Dreamer Deceiver”, che brilla di luce propria grazie ad un Rob Halford semplicemente fuori scala. Potremmo già fermarci qui per scomodare la parola ‘capolavoro’, ma i Priest non si fermano e ci regalano una doppietta come “Tyrant” e “Genocide”, due composizioni che hanno indicato la direzione per un intero genere musicale. Soprattutto la seconda, con quel suo incedere tagliente e spietato rappresenta qualcosa di inedito, una scarica di energia primigenia che possiamo considerare, senza timore di essere smentiti, una dei momenti fondanti della nostra musica. Ci sono alcuni momenti in cui si vede come la band stia ancora cercando una personalità ben definita, prendiamo ad esempio “Epitaph” con le sue influenze barocche figlie dei Queen, ma “Sad Wings Of Destiny” ci restituisce una band enormemente più consapevole dei propri mezzi rispetto a quella di “Rocka Rolla”. Il valore di quest’album diventa ancora più clamoroso se contestualizzato nel suo periodo storico: è vero, sicuramente non si farebbe fatica a trovare un buon numero di album seminali con un suono altrettanto duro, registrati magari anche cinque o sei anni prima di “Sad Wings Of Destiny”, eppure in questo tutte le intuizioni che partivano dal blues e dal rock più energico degli anni Sessanta e Settanta trovano già una loro forma compiuta, cristallina e definitiva che, anche oggi a quasi cinquant’anni di distanza, non possiamo che chiamare con un solo nome: heavy metal.