JUDAS PRIEST – Screaming For Vengeance

Pubblicato il 11/08/1982 da
voto
9.0
  • Band: JUDAS PRIEST
  • Durata: 00:38:50
  • Disponibile dal: 17/07/1982
  • Etichetta:
  • CBS Records

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Se si volesse sintetizzare allo stremo il concetto di heavy metal, se si intendesse far capire a qualcuno che non ne sa nulla come sia fatto, quale sia il suo valore emozionale, dandogli una rappresentazione immediatamente esaustiva, chi scrive ritiene che poche cose possano farlo come l’accoppiata“The Hellion”/”Electric Eye”. La prima, l’intro, sgargiante, luminosa, immaginifica; la seconda, canzone di apertura di “Screaming For Vengeance”, a lanciare come una palla infuocata i Judas Priest verso un nuovo suono, più scintillante, pieno, tagliente, dopo le incertezze di “Point Of Entry”. Un regno della tecnologia e dell’acciaio, una rivoluzione industriale verso un futuro dominato dalle macchine e dal controllo ossessivo di ogni azione umana, racchiuso nella superba copertina di Doug Johnson. Tutto quanto presente nell’album va a ridefinire le coordinate dell’heavy metal, a rafforzare a dismisura la corazza di Dèi del metal che i Judas Priest avevano già plasmato, nella musica e nelle immagini, con gli album precedenti. E se il termine ‘defender’ andrà ad assumere il suo rinomato significato con il successivo e altrettanto riuscito “Defenders Of The Faith”, è nell’album dell’82 che parte la seconda era della band; le platee oceaniche chiamano, assoggettate da un suono fragoroso e zeppo di melodie luccicanti. “The Hellion”/”Electric Eye” è appunto un’apertura che nella memoria storica dell’ambiente metal tutto gioca alla pari con l’attacco di “Painkiller”, identifica i Judas Priest anche fuori dallo zoccolo duro dei propri fan.
I’m made of metal” attacca il ritornello, e non possiamo che vederci davanti un Halford, cantore incontrastato di un’epopea rivestita di pelle, fuoco e acciaio, sbucare sul palco per aizzare le folle, con un carisma che pochi oltre a lui posseggono. È un impianto sonoro e concettuale che sarebbe piaciuto ai futuristi, quello di “Screaming For Vengeance”, così orientato alla velocità, alla sfrenatezza, quella che d’altronde emana anche “Riding On The Wind”: più aperta e ariosa di “Electric Eye”, le dà naturale prosecuzione, nell’energia e nell’andare in progressione, sempre più in alto, forte, liberatoria. È un’ispirazione generosa nelle forme e nella sostanza quella che accompagnava il gruppo ai tempi, quella che la fa passare da episodi arrembanti ad altri più controllati e dal taglio più commerciale, senza fargli perdere freschezza e incisività. Così si scatena “Bloodstone”, un midtempo martellante, squadrato, dai riff allungati e melodie rolleggianti. Uno di quei pezzi un po’ ruffiani ma metallici nel midollo che i Judas Priest hanno diligentemente proposto per tutta la loro carriera. La maestria di Tipton e Downing sta anche nell’allentare le tensioni e mettersi quasi in una tonalità rilassata, dipingendo comunque delle canzoni dallo stile inconfondibile, perfette nella loro semplicità. Come lo è la successiva e ancora più ammiccante “(Take These) Chains”, dove spicca la collaborazione con Bob Halligan Junior, che comparirà come collaboratore anche in “Defenders Of The Faith”, in quel caso per “Some Heads Are Gonna Roll”. Strascicata e cantilenante, “Pain And Pleasure” è una canzone d’amore sui generis dal tono spaccone e un po’ rude, come piaceva atteggiarsi alla band in quegli anni. Per chi scrive è la meno riuscita del disco, abbastanza semplice e controllata, anche se possiede una propria dose di fascino e ci spinge comunque a non saltarla durante l’ascolto. Forse la sua collocazione era pensata come pausa, prima di un gioiello assoluto come la titletrack, la summa delle caratteristiche che siamo soliti attribuire, d’impulso, ai Judas Priest: una rasoiata spietata, con Halford a esasperare gli acuti, a trapanarci cuore e cervello e l’accoppiata di chitarre a colpirci con crudeltà e classe, sia nelle ritmiche che negli assoli. Un inno metallico da apoteosi, trionfale, senza calcoli e senza indugi, con le stimmate priestiane addosso in ogni infinitesimale dettaglio. L’intro di basso di “You’ve Got Another Thing Comin’” è un altro momento inconfondibile, un must nei concerti e l’ennesimo esempio di come il senso per la melodia pop fosse uno dei fattori fondamentali per arridere ai Judas Priest i favori delle folle. Un pezzo semplice, moderatamente groovy, con strofe alternanti un pizzico di delicatezza e asprezza, intervallate da un turbinio solista morbido e avvolgente.
L’elasticità interpretativa la fa da padrona in “Fever”, traccia dall’alone romantico, le effusioni chitarristiche patinate fanno il paio con un Halford in vena sentimentale, perfettamente inserito in una cornice sonora leggiadra, seppur senza rinunce in quanto a distorsione e pienezza del sound. Gli fa da contraltare lo sporco rock’n’roll metallizzato di “Devil’s Child”, divertita e ruvida, caustica e ammiccante, con seconde voci molto naif e vintage già per l’epoca. “Screaming For Vengeance” è un classico immortale, la perfetta rappresentazione dello strapotere dei Judas Priest in quel periodo. Fu un successo allora e ancora oggi è impossibile non riconoscerne la magia.

TRACKLIST

  1. The Hellion
  2. Electric Eye
  3. Riding on the Wind
  4. Bloodstone
  5. (Take These) Chains
  6. Pain and Pleasure
  7. Screaming for Vengeance
  8. You've Got Another Thing Comin'
  9. Fever
  10. Devil's Child
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