7.5
- Band: JUDAS PRIEST
- Durata: 00:41:08
- Disponibile dal: 14/04/1986
- Etichetta:
- CBS Records
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Poche cose grondano anni ’80 come “Turbo” dei Judas Priest. Un disco arrivato come fulmine a ciel sereno, un cambio di rotta spiazzante in un momento in cui i cinque rappresentavano la quintessenza dell’heavy metal, trainati dall’abbacinante doppietta “Screaming For Vengeance”-“Defenders Of The Faith”. Un disco dalla genesi combattuta, un travaglio che in origine avrebbe dovuto condurre a un doppio album, diviso tra il materiale più tradizionale e metallico e quello più leggero e meno atteso. Progetto abortito, con alcune tracce già pronte riversate nel successivo “Ram It Down”, alcune mai uscite dai cassetti e altre ancora riciclate per varie edizioni speciali. Alla fine, il gruppo optò quindi per un maquillage ben cospicuo, concentrandosi su pezzi dall’appeal radiofonico e mediamente molto facili da digerire fuori dai confini dell’heavy metal. Dal punto di vista delle vendite, il successo ci fu eccome, traghettando verso posizioni di classifica, sui due lati dell’Atlantico, mai toccate prima dai Judas Priest. Anche il successivo tour di supporto, immortalato nel live album “Priest… Live”, con un Halford fresco di ripulitura dalle droghe e in pieno furore agonistico, diede l’idea di una formazione – all’epoca cotonatissima, se non l’avete mai fatto recuperare i filmati di quegli anni – all’apice. Mentre se riascoltiamo “Turbo” per quello che è, senza preconcetti o diffidenza, ci accorgiamo di una tracklist altalenante, con alcuni pezzi di valore e altri solo discreti, per quello che nel complesso rimane un’uscita comunque positiva, che sarebbe potuta diventare leggendaria.
E lo è, su questo è difficile farsi assalire dai dubbi, la quasi title-track, uno sfrontato inno dalla carica sessuale intramontabile: “Turbo Lover” fa venire la pelle d’oca, nell’interpretazione intrusiva, sogghignante e sfrontata di Halford e i sintetizzatori a delineare una cornice digitale che si integra magnificamente alle chitarre. Si nota subito che queste ultime si assottigliano e perdono la loro consueta, affilata, concretezza, per smussarsi in qualcosa di più malleabile e sottile. Ma, appunto, in apertura le connessioni col recente passato non tramontano. Già da “Locked In” si capisce che siamo su tutt’altri registri ed è questa una canzone ben esemplificativa dei Judas Priest di quel particolare momento storico: da un lato la ricerca della melodia ariosa per far cantare le grandi arene americane, con un ‘abbassarsi’ verso il pop a dir poco smaccato. Sull’altro fronte, gli intrecci solisti si riavvicinano, seppure con minore veemenza, alle fulgide staffilate dei dischi precedenti, e il propagarsi dei sintetizzatori infonde un’aura algida e sci-fi all’insieme, sollevandolo dalla banalizzazione. “Private Property” e “Parental Guidance” trasfigurano l’identità priestiana, la seconda soprattutto; se non fosse per i vocalizzi halfordiani, peraltro in una versione pop/rock, sarebbe pure difficile ricondurre ai Metal Gods entrambi i brani. Nulla di scandaloso, però si tratta praticamente di canzoni buone da far da sottofondo a un viaggio in auto, non certo atte a far palpitare i cuori.
Si rialza la testa con l’energica e corale “Rock You All Around The World”, non a caso aperta da un riff metallico al cento per cento, che se non viene seguito da uno sviluppo altrettanto robusto, spinge verso una traccia dinamica e serrata. Il chorus potrebbe ricordare quel sentimento di unione e partecipazione di una “United”, e tanto ci basta. I Judas Priest avvinti di sentimentalismo, accorati nei toni e atmosferici si ripresentano con la synth-oriented “Out In The Cold”, l’altro pezzo da novanta di “Turbo” dopo l’opener. I sintetizzatori sono qui fragorosi e irruenti, la loro predominanza coincide con alcuni dei punti più belli del lavoro, quelli dove emerge l’intensità emotiva esalata dal gruppo, non soltanto la mera ricerca del facile appeal. Reami nei quali si torna (parzialmente) con “Wild Nights, Hot & Crazy Days”, ammiccante nel refrain, più briosa e accesa in altri frangenti. “Hot For Love” funziona discretamente, scritta per essere un’hit single con poco sforzo, non si rivela un centro pieno, ma è divertente quanto basta per non annoiare e fornire divertimento a basso costo. Efficace la chiusura di “Reckless”, ben calibrata tra intrattenimento rock’n’roll e una sua eleganza di fondo, con un impianto solista di caratura superiore a metterla nei piani alti della tracklist. “Turbo”, data la discontinuità, non lo si può annoverare tra i capolavori priestiani, anche se ha dalla sua almeno un brano-simbolo della band e alcuni altri pezzi che potrebbero entrare meritatamente nella galleria dei ‘classici minori’.