6.5
- Band: JUDICATOR
- Durata: 01:00:56
- Disponibile dal: 25/11/2022
- Etichetta:
- Prosthetic Records
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Gli americani Judicator ci hanno abituato, sin dagli albori della loro carriera, ad uscite di stampo tipicamente old school power metal sulla falsariga di gente del calibro di Blind Guardian, Iced Earth e Demons & Wizards, condito tuttavia con una forte componente personale e riconoscibile, in grado di proiettare il loro nome tra le nuove avanguardie del genere provenienti da oltreoceano, insieme a colleghi come Unleash The Archers, Helion Prime e altri ancora.
Tuttavia, a sto giro è necessario adottare una metodologia parzialmente diversa, per recensire il loro nuovo album “The Majesty Of Decay”, e questo perché siamo in presenza di un prodotto che, sin dai primi rintocchi, pare rappresentare una sorta di lieve distaccamento dagli stilemi adottati fino al gradevolissimo predecessore “Lea There Be Nothing”: già la opener “Euphoric Parasitism” e la successiva title-track, seppur con alcuni sprazzi di accelerazione qui e là, forniscono una presentazione decisamente più cadenzata e tetra della proposta trattata, e anche il sound appare relativamente meno impattante. La più lunga “From The Belly Of The Whale” conferma questa sensazione con un incedere ancora più decadente, mentre “Daughter Of Swords” parte aggressivamente con un attacco alla Testament, per poi smorzare immediatamente l’accelerazione in favore di un pezzo evocativo e tormentato, interpretato in modo encomiabile dalla squillante ugola del vocalist e leader John Yelland.
Un po’ di adrenalina si ritrova nelle fasi iniziali di “Ursa Minor” e nel corso dell’andamento generale di “Ursa Major”, anche se permane qualche criticità negli accostamenti tra le varie trovate compositive, che in un paio di punti paiono leggermente cozzare tra loro, anche se fortunatamente il ritorno all’headbanging aiuta l’ascoltatore a mantenere su un buon livello la propria asticella, anche grazie a un guitar work di buon livello.
Su “The High Priestess” bisogna fare un discorso a parte, trattandosi di un brano con risvolti che vanno dai Deep Purple a trovate jazzistiche, con tanto di strumenti a fiato e inserti di organo, con un risultato che a qualcuno potrà sembrare geniale o una mera baracconata, sulla base della propria predisposizione all’ascolto.
Ci si avvicina alla fine con “The Black Elk”, nel cui gusto figurano note non lontane dal doom metal, cui seguono ben due suite, una di oltre sette minuti e una di quasi dieci: la prima “Judgment” alza il livello anche grazie alla presenza della voce femminile ad opera della cantante greca Angel Chatzitheodorou, mentre la seconda e conclusiva “Metamorphosis” rilancia sul piatto una notevole complessità di fondo – come avviene spesso per le suite conclusive – insieme a piccole trovate potenzialmente accattivanti a tinte prog.
In generale è un lavoro godibile, che però lascia interdetti per più ragioni: le numerose idee compositive a modo loro spiccano e senz’altro denotano un notevole coraggio, ma risultano spesso amalgamate con approssimazione, finendo col lasciare l’ascoltatore più stranito che divertito, e trattandosi di un album di stampo power quella componente dovrebbe essere sempre presente. A tal proposito, non sarebbe stato male riscontrare una componente adrenalinica più presente, e meno sacrificata in funzione di una sperimentazione apprezzabile sotto molti aspetti, ma decisamente troppo grezza allo stato attuale: a tutto questo aggiungiamo una durata a parer nostro spropositata, e la ricetta per qualche sbadiglio di troppo è servita.
Se i Judicator vorranno fare di queste derive un marchio di fabbrica, dovranno decisamente impegnarsi di più per fornire al tutto una dimensione più compatta.