8.0
- Band: JUGGERNAUT
- Durata: 00:42:23
- Disponibile dal: 11/10/2019
- Etichetta:
- Subsound Records
- Distributore: Goodfellas
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Un nuovo lustro si è compiuto, cinque anni son passati: è tempo per i romani Juggernaut di destarsi un’altra volta dal letargo, ri-uscire dalla tana e mostrarci la loro nuova – la terza! – pelle; nonostante sia autunno e, solitamente, in questo periodo i sensi animaleschi vadano a sopirsi e a riposare. Per la compagine capitolina, invece, siamo giunti proprio al cospetto del momento di massima importanza e fibrillazione, quel traguardo ambito e mistico che per qualsiasi artista musicale prende le sembianze di un’imponente spada di Damocle, ovvero il terzo album sulla lunga distanza.
Nel 2009 i Juggernaut esordirono con “…Where Mountains Walk”, davvero un gran bel disco, ma di quella creatura pare essere rimasto solo un pulsare lontano, un sordo rimbombo che vive e, più che altro, sopravvive. Un embrione. Qualcosa che oggi neanche è paragonabile all’attuale anima della band. Cinque anni dopo, nel 2014, arrivò “Trama!”, che segnò il distacco traumatico dalla precedente incarnazione, con l’epurazione della voce e con un approccio alla composizione molto cinematografico e visuale, tanto da portare i Nostri all’invenzione di una vera e propria storia concettuale, ambientata nella Roma altolocata e corrotta degli anni Settanta, ottimamente narrata attraverso partiture strumentali di gusto e classe sopraffini. Oggi, infine, è la volta di “Neuroteque”, il freschissimo passo in avanti mosso ulteriormente dai Juggernaut.
Chiaro, il distacco tra “Neuroteque” e “Trama!” non può essere comparabile a quello tra “Trama!” e “…Where Mountains Walk”, ma se la band, da un lato, conferma la sua abilità innata nell’esprimersi a meraviglia con solo gli strumenti, dall’altro riesce a progredire e a maturare donando alla sua musica toni, colori, magie e spunti diversi, senza bisogno di incanalare tutto nel canovaccio di una storia, ma facendoci entrare nella sua personale ‘neuroteca’, un luogo spazioso, ameno e libero dove tutti possono scoprirsi e vivere in altri dove e in altri quando, a cavallo dell’immaginazione personale e della fantasia partorita dal proprio sè. La copertina di “Neuroteque” dice molto in merito: può rammentarci un misterioso e ineluttabile futuro, così come la nostalgia e il rammarico del passato, il tutto filtrato da un prisma poliedrico di origine ignota.
Sono composizioni subdole, le nuove tracce dei Juggernaut, perchè ci mettono almeno due-tre ascolti ad iniziare a colarci nelle meningi, ad attecchire nella corteccia cerebrale: e sì che la batteria e le percussioni del tentacolare Matteo D’Amicis e il basso di Roberto Cippitelli guidano prepotentemente ogni passaggio, vero midollo spinale e tratto connettivo tra l’apparente improvvisazione estemporanea dei brani ed il calcolatissimo fluire e modificarsi degli stessi, in un continuo cambio di scena ed inquadratura; sono poi le chitarre di Luigi Farina e Andrea Carletti a ricamare di fino e a dar giù di martello a seconda del dipinto da voler musicare, seguendo un istinto razionale che è di per sè, in termini, un paradosso. E’ difficile, se non impossibile, definire compiutamente lo stile dei capitolini: c’è chi scrive di cinematic sludge, chi di psichedelia post-progressiva, chi altro; noi non vogliamo troppo incaponirci in definizioni che lasciano il tempo che trovano, ma è certo che si tratta di musica strumentale, con ancora tanto metal, di concezione moderna-sperimentale, dove la ricerca artistica si fonde con i background individuali per ampliare vedute e soluzioni in un miscuglio sapiente di inclinazioni e ispirazioni che non può lasciare indifferenti.
Per noi un altro centro quasi senza difetti, baciato inoltre da una produzione perfetta, secca ma piena al tempo stesso e che non dimentica nulla per strada, lasciando ai quattro musicisti svariati ritagli di singola gloria all’interno di un’opera che, nella sua libertà e nella sua compattezza, ci sta affascinando e facendo viaggiare sempre più, ascolto dopo ascolto.