
5.5
- Band: JUNGLE ROT
- Durata: 00:38:47
- Disponibile dal: 20/07/2018
- Etichetta:
- Victory Records
Spotify:
Apple Music:
Le copertine di Gyula Havancsák sono da tempo l’aspetto migliore dei dischi dei Jungle Rot, formazione indubbiamente genuina, ma da anni irrimediabilmente ancorata ad una proposta banale e limitata. I primissimi lavori del gruppo statunitense avevano senz’altro qualcosa da dire per i fan del death metal più quadrato e lineare di marca Obituary, ma con il tempo il materiale targato Jungle Rot ha perso sempre più appeal e vivacità, arrabattandosi attorno a riff derivativi e strutture canoniche. Certamente la determinazione del leader Dave Matrise e qualche improvviso sprazzo di ispirazione sono comunque riusciti a tenere in piedi la baracca nel corso degli anni, ma, almeno fra gli ascoltatori più scafati, ciò non ha impedito che i Jungle Rot venissero sovente visti come una sorta di strano oggetto di antiquariato. Il nuovo omonimo album del gruppo – il nono di una carriera ormai venticinquennale – presenta un’impronta leggermente più thrash del solito, sottolineata ulteriormente dalla presenza di Schmier dei Destruction nella spedita “Fearmonger”, tuttavia nel complesso l’impressione nei riguardi di Matrise e compagni resta la stessa. Anche a fronte di qualche brano ben riuscito – la battagliera “A Burning Cinder” e la più ritmata ed epicheggiante “Glory For The Fallen” – l’album non riesce a decollare più di tanto, inciampando spesso in un songwriting poco approfondito alla cui base si rintraccia sin troppo spesso un lavoro di chitarra intento a riciclare riff già sentiti davvero troppe volte. I Jungle Rot sono soliti curare bene la forma – oltre alla succitata copertina, questa volta segnaliamo anche la produzione rifinita da Dan Swano – ma a livello di contenuti risulta difficile sorvolare su certe banalità, esattamente come accaduto per alcuni lavori dei loro più celebri colleghi Obituary e Six Feet Under. Il terzetto resta sostanzialmente una realtà da apprezzare in sede live, con una birra in mano e con davanti l’opportunità di sfogarsi per un po’ nel pit, senza troppe congetture e riflessioni.