7.5
- Band: JUNIUS
- Durata: 46:20
- Disponibile dal: 03/03/2017
- Etichetta:
- Prosthetic Records
- Distributore: Audioglobe
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Partendo dal primo lavoro sull’opera del pensatore Immanuel Velikovsky e del suo ‘catastrofismo’, “The Martyrdom Of A Catastrophist” del 2009, e proseguendo il percorso sulla migrazione dell’anima in territori post-mortem con “Reports From The Threshold Of Death” del 2011, e dopo l’EP semi-riassuntivo”Days Of The Fallen Sun”, ecco giungere quello che viene considerato il terzo tassello della trilogia sullo spirito. Seppur non necessariamente presentato come un punto finale di un certo percorso stilistico, e quindi parte finale di una prima era per la band di Boston, possiamo però considerare come la prosecuzione degli intenti contenutistici, lirici ed immaginifici, presentino questo nuovo “Eternal Rituals For The Accretion Of Light” come una sorta di capitolo finale sull’introspettiva e mistica avventura dello spirito nelle sue peregrinazione di vita e morte. Il nuovo lavoro è impostato come figura della vita e delle opere di Elisabeth Haich, spiritualista ungherese, autrice di numerosi libri sull’infinità del percorso spirituale e sull’anima. “Eternal Rituals For The Accretion Of Light” inizia con un quartetto di brani forse tra i più heavy scritti dalla formazione di Boston, in cui il post-punk tinteggiato di art-rock degli esordi viene contaminato da una vena post-metal neurosisiana sempre più marcata, ma parimenti autentica e personale, che mantiene quello che era lo status di originalità della band. “A Mass For Metaphisicians” e “Clean The Beast” ripercuotono le coordinate più post-metal tinte di quel sentore dark wave che aveva da sempre contraddistinto le tonalità charoscurali dei Junius, riuscendo ad offrire un incipit capace di intrigare per quel tono misticheggiante e sacrale che sembra fare la fortuna di band come Amenra e riportare in auge i vecchi toni Sentenced, romanticamente memori di morte e spirito. Significativo come questo nuovo lavoro sia accreditato ad unico compositore, il cantante/chitarrista Joseph E. Martinez, e non più anche al compagno Michael Repasch-Nieves: sintomo, questo, di una certa volontà di entrare direttamente e profondamente nell’esperienza personale di un singolo, e meno volta, probabilmente, ad una certa mescolanza di intenzioni. Noto è infatti che la band ha un bagaglio di influenze molto disparate tra di loro, che vanno dagli At The Drive In a Philip Glass, dai Deftones ai The Cure, dai My Bloody Valentine ai Cult Of Luna. La seconda parte del lavoro è quella più morbida, dove sono contenute le più brevi scorribande in semi-ballad ruvide e spigolose, come la riuscitissima “The Queen’s Constellation” (il cui epos raggiunge le vette più alte e comunicative della band), memore di un discorso attualmente portato avanti da band prog-metal come i Leprous, soprattutto nella sua parte finale, o “Heresy For The Free Spirit”, più immediata e radiofonica, che però riesce a mostrare anche il lato di maggiore appeal immediato della band, quello che li aveva spesso relazionati ad una certa band di sicura influenza sui bostoniani, i Tears For Fears. Ultimo pezzo del puzzle è la finale “Black Sarcophagus”, in cui la marcia epica introduce quello che ben rappresenta il saluto finale alla carne (“take my flesh and let me go”), in cui il post-rock più evocativo riesce a suggellare quello che era un disco partito in maniera più heavy ed incombente. Entrambi i lati del nuovo lavoro sembrano appropriati per giudicare ancora una volta la qualità di una band che sembra avere ancora molto da dire al genere post-metal in quanto a spirito e sostanza. Diverso, per certe intenzioni, dal ben più diretto “Reports From The Threshold Of Death”, ma parimenti intrigante e vigoroso, capace di entusiasmare certamente i fan della band e di procurarsene di nuovi, inquadrando un percorso ben lungi, in ogni caso, dal considerarsi arido e morente.