7.0
- Band: KADAVAR (Ger)
- Durata: 00:40:58
- Disponibile dal: 10/07/2012
- Etichetta:
- Tee Pee
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Stiamo assistendo ad una seconda ondata di revival rock fatto di band che vanno a riscoprire (con risultati alterni) il rock dei tardi Sessanta e dei primi anni Settanta. La prima ondata di questo genere si ebbe ad inizio anni Novanta, guidata da un lato dai Kula Shaker e dall’altro dai Kyuss; se lo stoner è arrivato fino ai giorni nostri relativamente in salute, quello che è invece il classic rock vero e proprio ha da poco ricominciato a riaffiorare tra le nuove leve, guidate da gente del calibro di Witchcraft, Rival Sons, Graveyard, Gentlemans Pistols e Wolfmother. A questa schiera di adepti del vintage sound si aggiungono i tedeschi Kadavar, qui all’esordio per la sempre attenta Tee Pee Records. Stupisce che nella postmoderna Berlino vi siano tre figuri che paiono usciti dalle foto in bianco e nero degli Allman Brothers, eppure la loro proposta convince e colpisce positivamente, sebbene non si situi ai vertici della scena. Numi tutelari dei Nostri sono innanzitutto i Black Sabbath di “Volume IV” e gli Hawkwind dei mid seventies, ai quali si aggiungono imprescindibili echi di Led Zeppelin e Mountain di “Avalanche”. Il tutto è suonato con il piglio deciso e diretto della NWOBHM, dalla quale i Nostri mutuano una certa potenza ritmica, ben espressa dal basso tonante di Mammut. L’album consta di sette brani, alcuni brevi e ficcanti, altri lunghi e forse troppo elaborati. Vi sono inevitabili momenti vicini allo stoner, come ad esempio “Forgotten Past”, che alterna momenti sabbathiani e stonati ad altri più vicini ai primissimi Whitesnake. A differenza di Rival Sons e Graveyard (le migliori realtà sulla piazza in questo momento), i Kadavar hanno un sound più massiccio e circolare, meno personale e meno incline al blues ed al soul. Si può anzi dire che i Nostri rimangano stoicamente ancorati all’hard rock settantiano, con magari qualche piccola fuga verso lo psych rock. “Goddess Of Dawn” è una “Symptom Of The Universe” ingentilita da chitarre rock, mentre “Creature Of The Demon” pare una versione più fuzz e acida di “Paranoid”. Molto più interessante a questo punto “Purple Sage”, brano dilatato da effetti space rock e che al proprio interno ha dei soli chitarristici di grandissimo pregio, opera di Wolf Lindemann. Nella conclusiva “Living In Your Head” il sound diventa più acido, citando a ripetizione anche i Pentagram, grazie anche alla prestazione aliena dello stesso Lindemann dietro al microfono. Niente male come esordio. quindi: molto derivativo senza dubbio, ma in grado anche di mettere in mostra un talento ed un gusto che la band sicuramente ha nel proprio DNA. Se son rose fioriranno.