8.0
- Band: KAMELOT
- Durata: 00:56:26
- Disponibile dal: 30/10/2012
- Etichetta:
- SPV Records
- Distributore: Audioglobe
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Sicuramente la curiosità intorno alla decima uscita dei Kamelot era molto alta. L’abbandono, alquanto inaspettato, dell’ex singer Roy Khan, oramai da anni assurto a figura iconica della band rappresentava infatti un forte punto di incertezza sul futuro dei Nostri. Come ci ha mostrato, a volte impietosamente, negli anni la storia della nostra musica preferita, ci sono diversi modi di affrontare un cambio di line-up quando esso coinvolge personalità importanti per la band: i Dream Theater post- Portnoy hanno riabbracciato sonorità e soluzioni legate ad un grandioso passato, contando sull’amore che i fan da sempre mostrano per i classici della band; i Maiden, all’indomani dell’abbandono di Dickinson, continuarono sulla strada introdotta da “Fear Of The Dark”, consolidando la tendenza a canzoni lunghe e articolate che persiste ancora adesso; i Nightwish, invece, con “Imaginareum” hanno tentato soluzioni diverse per una cantante diversa, giocando la carta della novità e sperando in un rapido colpo di spugna che cancellasse dalla lavagna le scritte di un passato oramai scomodo. Una triplice scelta, dunque, riabbraccio di amate sonorità passate, il proseguimento della più oscura declinazione data alla propria musica o la scoperta di nuove sonorità presentando ai fan una band rinnovata? In realtà i Kamelot ci stupiscono invece con un album che decide di percorrere contemporaneamente tutti e tre i sentieri. Possibile? In realtà sì, e vi spiegheremo come. Il nuovo entrato, Tommy Karevic dei Seventh Wonder, è il legame con il passato, dotato di una voce ed un’impostazione, soprattutto sulle basse tonalità, perfettamente in linea con quanto lasciato in eredità da Khan. Le atmosfere oscure, eleganti e in qualche modo progressive che abbiamo ascoltato da “Ghost Opera” in avanti sono altresì presenti, sapientemente declinate in una serie di brani fortemente introspettivi e personali, che non rinunciano però a picchiare dure in alcuni frangenti, e che abbracciano, soprattutto grazie ad elaborati arrangiamenti, sonorità appunto oscure. Infine, una certa dose di novità è data dal maggior coinvolgimento nel songwriting del tastierista Palotai, scelta che porta un po’ del complesso sound dei Sons Of Season nel tessuto musicale del gruppo. C’è un po’ di tutto in queste dodici tracce… i richiami a “Karma” e a “Epica” sono più che evidenti nell’opener “Sacrimony (Angel Of Afterlife)” e in “Solitaire”. Tracce di “Black Halo” sono visibili in “Veritas” e nella sua marziale introduzione, così come “Rule The World” e tutto “Ghost Opera” sono ribaditi in molte tracce, tra cui la title-track “Silverthorn”. Il ponte con la produzione più recente è lasciato invece alla suite “Prodigal Son”, che nella struttura così progressiva ed intricata ricorda la cupa “Necropolis” presente su “Poetry For The Poisoned”… e non è finita qui. Insieme a questi cameo della vecchia produzione Kamelot, trovano spazio anche una atipica ballad elettrica come “Song For Jolee” e per la bellissima “Torn”, pezzo migliore dell’album e diverso da quanto prodotto dalla band sino ad ora. Tutto funziona bene, tutto è al 100% Kamelot, ma l’impressione che qualcosa sia cambiato ci è comunque veicolata tramite le composizioni più belle ed inaspettate. “Silverthorn” è un disco che riabbraccia il passato, mantiene i contatti con la storia recente del gruppo, e ci presenta al contempo delle modifiche al songwriting, adesso ancora più tendente a soluzioni complesse, oscure ed eleganti. Un ritorno che vede i Kamelot a testa alta, e non proni sotto il peso dell’assenza di una figura così ingombrante come Khan. Davvero ben fatto.