8.0
- Band: KAMELOT
- Durata: 00:52:51
- Disponibile dal: 17/03/2023
- Etichetta:
- Napalm Records
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Un titolo a dir poco emblematico per il ritorno sul mercato discografico di una delle band più influenti e popolari dell’intero filone legato al power metal, che con la penultima uscita – ormai cinque anni fa – ci aveva lasciato tutto sommato titubanti e con l’amaro in bocca, avvolti nel timore di aver assistito ad un brusco calo artistico da parte di una realtà che comunque, seppur coi dovuti alti e bassi, ci aveva sempre trasmesso una vasta gamma di emozioni.
Ebbene, pare che la lunga attesa, incentivata anche dai due anni di pandemia e relativi intralci, abbia davvero dato i propri frutti sul fronte dell’ispirazione musicale, il che ci porta ad affermare senza mezzi termini che i Kamelot hanno ufficialmente risollevato la propria asticella grazie a questo “The Awakening”, il quale già dall’uscita dei primi singoli “One More Flag In the Ground” e “Opus Of The Night (Ghost Requiem)” ha messo d’accordo gran parte degli ascoltatori, inclusi molti scettici e persino soggetti che da tempo non bazzicavano più gli ambienti della musica del combo di origine statunitense, probabilmente intristiti dall’ormai ben noto cambio di frontman avvenuto oltre dieci anni fa, nonché da un leggerissimo distanziamento dalle sonorità tipiche dei lavori più illustri.
Noi personalmente non nascondiamo di apprezzare parecchio i primi due lavori con alla voce Tommy Karevik, in quanto si tratta di prodotti perfettamente in linea col livello qualitativo stabilito a suo tempo in compagnia del buon Roy Khan, anche se concordiamo col fatto che quel “The Shadow Theory” del 2018 rappresenti a suo modo un autentico passo falso. Tuttavia, in questo caso si gioca ben altra partita, e siamo felici di ammettere che a questo giro Thomas Youngblood e soci non hanno solo fornito la loro discografia più recente di un degno e coerente prosieguo, ma sono riusciti nella non facile impresa di rievocare le loro soluzioni storiche, amalgamandole sapientemente a quelle più fresche per creare un perfetto connubio tra passato e presente.
Chi ha amato i vecchi Kamelot qui troverà pane per i propri denti, così come chi li apprezza nella loro connotazione contemporanea, e ciò rappresenta il vero tassello vincente della produzione: le orchestrazioni sono presenti e ben composte, il sound della chitarra emerge perfettamente nel complesso sonoro e le melodie appaiono catchy, ma assolutamente non zuccherine e/o stucchevoli. Per fare un esempio della dualità qui presente, potremmo citare la iniziale “The Great Divide”, molto in linea con quanto fatto in “Silverthorn”, cui prontamente segue una “Eventide” che non stonerebbe nell’iconico “The Black Halo”, ed è notevole la capacità dello stesso Tommy di rendere l’effetto alla perfezione, nonostante alla sua ugola si accostino tendenzialmente i vagiti meno datati della band.
C’è davvero tutto ciò che un amante dei Kamelot potrebbe desiderare, e di tasselli effettivamente fuori posto pare non ne saltino fuori nemmeno per sbaglio; persino la ballad dalle influenze quasi folk “Midsummer’s Eve” riesce a confermarsi toccante e ben confezionata, anche se è la seguente “Bloodmoon” a rappresentare il punto più alto raggiunto dall’album, non solo perché il titolo ci ricorda il capolavoro videoludico “Bloodborne”, ma perché già solo il ritornello sarebbe da incorniciare tra i migliori di questo 2023.
Incredibilmente, la durata forse un po’ massiccia dell’ascolto non intacca in alcun modo l’andamento positivo e non sopraggiunge praticamente mai la noia, anzi la band ci colloca una sorpresa verso la fine: l’apparizione in veste di ospite della bella Melissa Bonny (Ad Infinitum) sul bellissimo brano “New Babylon”. La frontwoman svizzera, insieme alla violoncellista Tina Guo e all’immancabile Simone Simons (Epica), rappresenta una comparsa in grado di impreziosire ancora di più un album già di pregevole fattura.
Potremmo trovare un lieve difetto nella scelta di stilare una scaletta piuttosto lineare sul fronte strutturale, senza intermezzi strumentali (o magari una lunga suite) a spezzare un andamento che esce solo parzialmente dal seminato, ad esempio tramite l’occasionale utilizzo di timbriche tipiche dell’estremo e/o di inserti musicali più massicci ed opulenti, come i chitarroni granitici presenti anche nella conclusiva “My Pantheon (Forevermore)”.
Siamo davvero lieti di aver scritto queste parole, in quanto è innegabile che i Kamelot abbiano ancora molto da dire, e paradossalmente l’aver rispolverato alcune soluzioni più tipiche del primo decennio degli anni 2000 ha dato una ventata di freschezza ad un songwriting dalla ritrovata completezza, in equilibrio perfetto tra i singoli elementi e chiaro segnale del risveglio non solo dell’umanità, dopo il torpore pandemico, ma anche della band stessa, che ci auguriamo possa presto passare dalle nostre parti per una data, di modo da farci saggiare i nuovi estratti anche in sede live.