7.5
- Band: KAMELOT
- Durata: 00:52:13
- Disponibile dal: 06/04/2018
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
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A distanza di tre anni dalla pubblicazione di “Haven”, i Kamelot tornano con un nuovo full-length, intitolato “The Shadow Theory”. Si tratta di un concept che, citando Jung, ha lo scopo di rappresentare una sorta di viaggio psicologico nella complessità della mente umana: un intento alquanto ambizioso, con tematiche difficili da accompagnare musicalmente, che rappresenta dunque uno sforzo compositivo notevole. Peraltro, c’è da dire che la band era reduce da un album come “Haven” un po’ altalenante (e sotto questo profilo, in parte chi scrive prende le distanze a livello personale dall’entusiastica recensione pubblicata a suo tempo su queste pagine) e che non rappresentava uno dei picchi della propria discografia in quanto ad ispirazione (per quanto vi fossero inclusi senz’altro anche alcuni ottimi brani). La parte iniziale del nuovo album, peraltro, non lascia neppure presagire nulla di buono: superata la solita intro strumentale, infatti, si ritrovano delle tracce magari non brutte ma troppo legate al classico stile dei Kamelot e a sonorità che li hanno resi celebri, al punto da sembrare troppo autoreferenziali, dato che vengono proposti riff e soluzioni melodiche fin troppo noti, con il singer Tommy Karevik che sembra ancora doversi sforzare di dover assomigliare per forza al suo grande predecessore, Roy Khan. Sembra quasi che con tracce come “Phantom Divine” e “RavenLight”, la band americana cerchi ancora di ricordare che, anche se non è più nel gruppo il cantante norvegese, loro in fondo sono sempre gli stessi che hanno realizzato in passato dischi come “Epica”, “Karma” o “The Black Halo”. Parzialmente diverso il discorso per “Amnesiac”, che invece cita sin troppo apertamente, sia a livello di tematiche che musicalmente, “Insomnia” (brano di “Haven”), risultandone quindi strettamente collegato. Ad un certo punto, però, nella tracklist arriva “Burns To Embrace” e qualcosa cambia: con questo brano, infatti, i Kamelot finalmente si lasciano andare, proponendo soluzioni un po’ più nuove, senza per questo snaturare il proprio sound, con un refrain molto orecchiabile e accattivante e l’aggiunta nel finale di un bel coro di voci bianche. Seguono “In Twilight Hours”, una ballata ben riuscita che ha tanto il sapore di un pezzo di musical, dove Karevik duetta con Jennifer Haben (Beyond The Black) e “Kevlar Skin”, un brano che in parte ha qualcosa del classico stile Kamelot, ma che lascia intendere come ormai la band abbia finalmente deciso di voltare pagina e guardare al futuro: anche l’approccio di Karevik è diverso e sembra essere più personale e libero di esprimersi rispetto ai brani iniziali (per non parlare di buona parte dei dischi precedenti). La tracklist prosegue dunque con questo tipo di trend, mantenendo il consueto mix di power sinfonico con una grande cura per le melodie, ma con uno stile più fresco e adatto a quella che è l’attuale incarnazione della band. si nota pure peraltro un mood vagamente oscuro ma mai troppo cupo o angosciante: tornando anzi alla questione iniziale, possiamo dire che l’obiettivo a nostro avviso è stato raggiunto, perchè la musica riesce a seguire le tematiche trattate, risultando cangiante ed in grado di adattarsi alle diverse emozioni o ai diversi stati d’animo che si susseguono nel corso del disco. Citiamo, altresì, belle tracce melodiche come “Static” e “Vespertine”, la più dura “Mindfall Remedy”, dove si possono ascoltare le growl vocals di Lauren Hart degli Once Human (presente anche in “Phantom Divine”) o, ancora, “The Proud And The Broken”, un pezzo dalle sfumature prog (strettamente collegato a “Burns To Embrace”), dove Sascha Paeth (che, come sempre, ha prodotto il disco), si lancia anche in harsh vocals. Il finale, invece, rappresentato da “Ministrium”, è un’altra strumentale molto orchestrale, analogamente all’opener “The Mission”. Insomma, dopo una partenza non molto entusiasmante, i Kamelot tolgono un po’ di zavorra rappresentata dal loro passato, certamente splendido e ammirevole ma che, in questo momento, senza la giusta ponderazione, rischia di diventare assolutamente ingombrante, riuscendo così a spiccare il volo, grazie ad una serie di brani davvero convincenti. Buon album, dunque, che saprà condurvi attraverso i meandri e le ombre della psiche umana.