7.5
- Band: KAMPFAR
- Durata: 00:44:32
- Disponibile dal: 11/11/2022
- Etichetta:
- Indie Recordings
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È sempre un piacere ospitare su queste pagine una delle band pagan black metal di spicco nel panorama internazionale, quali sono i Kamfar: la band norvegese, guidata dall’inossidabile Dolk, con il nuovo “Til Klovers Takt” è arrivata al traguardo del nono full-length album; ed è curioso come, nonostante fosse uscita allo scoperto nella seconda metà degli anni ‘90 – pur essendo di fatto una delle formazioni della prima ora (o quasi) del black metal tinto da elementi pagani – abbia conquistato spessore e fama internazionale non negli anni d’oro, bensì successivamente grazie ad una graduale e costante maturazione artistica che li’ha portata a livelli davvero insperati.
Al giorno d’oggi un nuovo disco dei Kampfar è di fatto una delle uscite più importanti dell’anno in ambito black metal; l’unico aspetto negativo, se vogliamo, di questa nuova release è che per molti non ci sarà l’effetto sorpresa, in quanto la band (o è forse meglio dire l’etichetta Indie Recordings) ha adottato una politica alquanto bizzarra e fortunatamente quasi unica: far uscire ben quattro singoli ed un EP che complessivamente svelano cinque brani sui sei contenuti nel nuovo lavoro. In sostanza, i fan attenti che seguono ed ascoltano le anteprime dei Kampfar si ritroveranno con un unico brano inedito nel full-length, ovvero il conclusivo “Dødens Aperitiff”, neanche il migliore di “Til Klovers Takt”. Per nostra fortuna ai norvegesi non serve l’effetto sorpresa per suggestionare i propri ascoltatori: basta aprire l’album con un capolavoro assoluto che porta il nome di “Lausdans Under Stjernene”, probabilmente uno dei migliori brani mai scritti da Dolk e soci. Questo pezzo ha la forza di mantenere intatta tutta la ferocia black metal in pieno stile norvegese che i Kampfar di fatto non hanno mai abbandonato, possiede tutta l’intelligenza artistica con la quale grazie alla propria esperienza decennale sanno imbastire la spina dorsale di un brano complesso, pieno di cambi di tempo e di mood. Pur stilisticamente distantissimi, i Nostri hanno il modo di intendere l’elemento epico nella sua espressione più alta, ovvero quella sottile e mistica, un po’ come avevano fatto i Borknagar nel capolavoro “The Olden Domain”. La successiva “Urkraft”, titletrack dell’EP che ha anticipato ad inizio anno questo lavoro su lunga distanza, è un brano più riflessivo, più epico in senso classico e tradizionale del termine: qui il cantato tiene tonalità alte e resta in sostanza gridato dall’inizio alla fine, come se si trattasse di un lungo ed inesauribile urlo di dolore prima della fine inevitabile. Una simile scelta è da considerarsi rischiosa perchè si rischia di cadere veramente nella monotonia, invece la band riesce a mantenere alta la tensione e a non risultare ripetitiva, grazie a dei cambi di tempo articolati in grado di smorzare l’atmosfera epica per poi farla nuovamente ripartire con ancora più enfasi che in precedenza. Il brano successivo è più tradizionale ed è un classico brano dei Kampfar, con l’aggiunta di un leggero tocco ipnotico, riuscito pienamente. La seconda metà dell’album si regge sempre su alti livelli, ma viene un po’ a mancare la magia della prima parte (“Flammen Fra Nord” graffia ma non ha niente di eccessivamente particolare), risultando senza dubbio più diretta e di impatto, ma la band norvegese con gli ultimi capolavori ha dimostrato di essere capace di molto altro, molto spesso non replicabile da altri. Pur essendo brani molto validi, sembra che su questi la band abbia lavorato in modo più veloce, sicuramente non superficialmente, ma senza metterci troppe idee all’interno. Il brano ‘inedito’, come anticipato prima, chiude questa ottima release, e lo fa in modo particolare con una marcia funebre vichinga, davvero suggestiva seppur un po’ ripetitiva. Aspettative – altissime – ad ogni modo rispettate, lasciandoci la convinzione che anche questo debba essere un capitolo da possedere. Già da anni il nome Kampfar non si può mettere in discussione, ed oggi a maggior ragione dopo questa ennesima conferma si rivela come una delle poche gemme rimaste, capace di resistere al passare inesorabile degli anni.