7.5
- Band: KANSEIL
- Durata: 00:51:23
- Disponibile dal: 26/01/2024
- Etichetta:
- Bagana Records
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Ne hanno fatta di strada i veneti Kanseil, arrivati al loro terzo disco nel giro di quasi una decina d’anni.
Nati sull’ondata del folk metal italiano, trainata dai bergamaschi Folkstone che hanno ispirato molti altri musicisti, i sette che compongono il progetto hanno però cercato nel tempo di affinare il loro sound, puntando, più che sul lato festaiolo di questo genere musicale, su quello più introspettivo e dedicato al rapporto fra uomo e natura.
“Vajont”, la lunga suite che chiudeva il primo disco “Doin Earde”, è un esempio di questa poetica, che oggi si ripete con “Vaia”, ispirato alla tremenda tempesta che colpì il Triveneto nel 2018, le cui conseguenze sono brillantemente rappresentate nella copertina di Manuel Scapinello e Eddy Talpo.
I Kanseil di oggi sono infatti diversi da quelli che molti di noi hanno magari conosciuto al Fosch Fest anni fa: si cresce, si cambia, e le cicatrici della vita scavano solchi, specialmente nel cuore di musicisti che hanno vissuto il catastrofico evento di cui sopra, e successivamente la pandemia.
Andrea, Stefano e soci dimostrano di aver interiorizzato quanto sopra, scrivendo quello che probabilmente è l’album più introspettivo della band sino ad ora. Sin da “Pian dei Lovi”, pezzo che narra del ritorno dei lupi sulle Alpi supportato da Davide Cicalese ed Elisabetta Rossi dei Furor Gallico, si percepisce infatti una malinconia di sottofondo che accompagnerà l’ascoltatore per tutti i pezzi, anche quelli più allegrotti come ritmo come “Rivus Altus”, che tratta invece della nascita del Carnevale di Venezia, già suonata in anteprima al Metalitalia.com Festival 2023.
È un viaggio fra storie e paesaggi che scompaiono, sostituiti dalla modernità e passati nella leggenda, supportato dagli strumenti cosiddetti ‘tradizionali’ e da una sezione elettrica che vede subentrare Marco Salvador al posto di Federico Grillo dietro alla sei corde. A livello musicale, il mix non cambia: sullo sfondo di un ibrido tra pagan e death metal che strizza l’occhio ai grandi classici del genere, come Mithotyn e Borknagar, si intrecciano gli arabeschi di pive e flauto, accompagnati da testi rigorosamente in italiano.
“Valia”, però, si dimostra come scrivevamo prima più maturo anche del precedente “Fulìsche”, con un maggiore equilibrio fra la presenza della voce pulita e narrante – che ci riporta quasi più sui territori dei Mercanti di Liquore che su quelli del folk metal contemporaneo – e il growl. Basti pensare a un bel pezzo come “Antares”, che col suo incedere cadenzato e il suo coro particolarmente facile da memorizzare, è sicuramente uno dei fiori all’occhiello di questo lavoro.
Il rinnovo della sezione elettrica ha probabilmente portato anche a una maggiore attenzione in fase di missaggio, questa volta a cura di Christian Ice, che porta l’effetto corale delle voci, vero fiore all’occhiello della band – chi li ha visti dal vivo nell’edizione del nostro festival dello scorso anno sa di cosa parliamo – ad avvolgerci completamente durante l’ascolto e a rifinire alcune spigolature, garantendo all’album una produzione ottimale e al passo coi tempi.
A chiudere il lavoro ci sono la title-track e l’acustica e malinconica “Landro”: una doppietta che non solo ci ha fatto scapocciare, ma anche pensare alla devastazione che l’uomo arreca continuamente alla natura senza curarsi delle conseguenze, sulla scia, appunto, di “Vajont”. Canzoni che fanno riflettere e che ancora oggi sono di una attualità sconvolgente: la dimostrazione che i Kanseil di oggi godono di ottima salute e il loro mix di pagan-folk-death metal riesce come sempre a toccare corde non comuni quando si pensa a questo genere, aggiungendo un livello più personale e intimo che non sempre è facilissimo esprimere.